Walls – separate world, il nuovo progetto di Teatro Astragali

I muri impediscono il contatto, tra genti. Che sarebbe uno scontro, presumibilmente, considerando il perché siano stati eretti. Muri per separarsi. Muri di conflitto. Invisibili, talvolta. Impenetrabili allo stesso modo.

Il teatro penetra i muri, li scavalca, li rimuove. Abbatte distanze, provoca avvicinamento, tensione, comprensione collettiva. Comprendersi. Nel tentativo di dissacrarne i motivi, delle fratture, dettati da ragioni incompatibili con il naturale congiungersi sociale.

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“Walls – separate world” è il progetto messo su dai salentini Teatro Astragali (Lecce) perché il teatro (e la ricerca) arrivino, anzi intervengano, nei luoghi di conflitto.

Supportato dal Programma Cultura dell’Unione Europea, in partnership con Università del Salento, Babelmed, Teatro Pubblico Pugliese, International Theatre Institute Italy Centre, International Theatre Institute Cyprus Centre, International Theatre Institute Directorate General, Un Vrai Beau Gars (France), Theatro Tsi Zakynthos (Greece), Performance Research Association (Turkey), il progetto è in pieno svolgimento dallo scorso settembre e sarò realizzato fino a giugno prossimo. Risiedendo in teatri di frontiera, in posti che tutt’ora fanno i conti con i muri, nel cuore di società contemporanee.

Italia, Francia, Grecia, Turchia, Cipro, le terre dove il teatro creerà e ha creato spazi di rilancio per favorire processi di integrazione ed inclusione a partire dalla rielaborazione delle memorie.

Ne parla il direttore artistico di Astragali Teatro Fabio Tolledi:

“Ci sono stati molti piani differenti, in questi anni, lavorando sul conflitto. Delle figurazioni sociali molto concrete sul tema. Uno degli elementi che ci sembra chiaro e utile è far esplodere il problema e farne venire fuori i fondamenti. In primis la mancanza di riconoscimento dell’altro, calato in una realtà immediata di donne e uomini, quindi naturale, prossima, assumendo dunque maggiore percettibilità.”

S’addentra nelle trame della questione, Fabio Tolledi, facendo riferimento alle esperienze pregresse in questa direzione. Esperienze di vita vissuta. La compagnia leccese non è nuova nel diffondere la sua poetica in territori caratterizzati da geopolitiche e convivenze difficili. Il resoconto assume i contorni della memoria, del punto focale dell’interazione diretta, del coinvolgimento immediato:

“ Qualche tempo fa, nell’esperienza fatta a Zacinto – continua Tolledi – il gruppo era formato anche da alcune attrici greco-cipriote e turco-cipriote. Parlavano tra loro in inglese… nello stesso luogo erano costrette a parlare la lingua delle colonizzazioni. Questo idioma, si frantumava nei momenti di interazione forte, quando si mangiava insieme per esempio, in cui si utilizzavano alcuni termini identici per indicare cose, pensieri. Identici anche metricamente. Un piano molto interessante per comprendere quanto le identità siano mutilate, impedite. A Cipro invece, abbiamo raccolto e percepito un senso di consapevolezza forte: la coscienza di fratture intestine, civili, tra simili, una sorta di “regolazione di conti” che crea frammentarietà su un’origine identitaria comune. Come si parlasse di profughi o deportati… Questo si traduce, in termini culturali, in un senso profondo di isolamento, costante nelle situazioni di conflitto, da far conseguire delle individualità ossessionate dal riconoscimento dell’altro, ostili al riconoscimento dell’altro.”

L’indagine teatrale, muove i primi passi nel comprendere totalmente il contesto in cui opera, perché non sia esclusivo strumento di informazione fine a sé stessa o traccia di pseudo confronto culturale. Piuttosto un’impronta marcata, un calco nelle coscienze, nelle storie, nella Storia.

“Osserviamo quello che accade, nei posti dove risiediamo artisticamente, per avere chiaro il complesso sistema dove si opera – dichiara a proposito il direttore artistico – volgendo l’attenzione intanto sui sistemi teatrali, come si organizzano. A Cipro per esempio, i giovani attori sono quasi del tutto inglobati nelle produzioni di soap opera e film, e esistono esclusivamente teatri nazionali e municipali, da rendere i lavoratori del settore dei meri dipendenti pubblici. Con ovvie conseguenze di ricattabilità e censura.”

Approfondendo sulle modalità di lavoro, per quanto più della quotidianità, dell’esperienza vivida, del contatto corporeo, le parole non possano spiegare:

“la questione linguistica è cardinale nel nostro lavoro. Un lavoro polifonico multilinguistico di confronto, avvicinamento, universalità. Per attraversare i luoghi e la lingua dell’altro, creare un intreccio che parta dall’esperienza sonora, attraverso la pratica dell’avvicinamento carnale. Un modo per raccontare le piccole storie che ognuno porta con sé e condividere in un senso collettivo, di riconoscibilità generale.”

Si conclude, dopo una conversazione in cui emergente è l’intensità della partecipazione emotiva e ‘umana’ all’opera di diffusione culturale, riflettendo sull’efficacia delle azioni:

“Si ottengono enormi risultati, accadono cose molto importanti, prima di tutto praticare l’azione politica del teatro, in cui crediamo fermamente, attraverso un virare sul teatro epico, interrogandoci intanto se può esistere ancora un teatro epico, e può essere possibile se praticato in bordi particolari, di cui ci sentiamo parte, territori caratterizzati da contesti post-coloniali. Vogliamo condividere la nostra esperienza di vita particolare che è quella della ‘periferia dell’Impero’. Rivolgendo lo sguardo sui nostrani meccanismi culturali, la nostra condizione dell’assolutamente corrotto’ è una condizione di marginalità, fortemente simile alle marginalità del mondo.”

E allora quale efficacia maggiore di un sapere trasmesso mediante l’unicità dei linguaggi, della metafora, delle poetiche teatrali, il coinvolgimento sensoriale dell’astrazione scenica trasfigurata in materia per uditori sensibili, incarnata e incarnante. Quando il teatro è veramente riferimento sociale e non vetrina per nuovi e vecchi protagonisti immobili.

Emilio Nigro

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