“Veneficas Calabriae”, esoterismo e materialità per un teatro sensoriale

Lo spettacolo è un lavoro di ricerca sull’approccio teatrale riconsegnato all’archetipo originario del “guardare”.

PROVE VENEFICAS 091L’osservazione verso lo spazio scenico potrebbe, a fronte di un lavoro ben fatto, restituire la comprensione attraverso la purezza chiarificatrice della visione – nell’insieme di elementi che la compongono – o indurre lo sguardo a penetrazioni approfondite. Consegnare in altre parole, allo spettatore, suggerimenti per un coinvolgimento, emotivo e sensibile, filtrato attraverso un rapporto “erotico”, non immediato, o scandire tempi, ritmi e proposte in maniera didascalica.
PROVE VENEFICAS 065Partendo da questo assunto, è esplicabile il lavoro di ricerca a monte dello spettacolo “Veneficas Calabriae” scritto da Giovanni Carpanzano, Emanuela Bianchi, Emilio Suraci, diretto da Giovanni Carpanzano e interpretato da Emanuela Bianchi.  Un lavoro di ricerca sull’approccio teatrale riconsegnato all’archetipo originario del “guardare”. Riflettere connotati socio-culturali pedinando il reale e trasfigurandolo in mimesi perché l’approdo sia incisivo, efficace, sensoriale.
E sensoriale è un termine adatto a descrivere il lavoro attorale di Emanuela Bianchi a dare materia a un testo dialetticamente ricco, elaborato, così come elaborata è la costruzione scenografica, ricca di segni capaci di contenere e tradurre molteplici prospettive di significante.
Il plot narrativo, cellula germinante, si rifà all’ultimo processo per stregoneria che ha avuto luogo, nel Regno delle due Sicilie, in Calabria. A fine settecento. Mentre in Europa le linee del pensiero e dell’indagine esistenziale venivano dettate dalla concettualità illuministica, ormai sfociante nel romanticismo come naturale foce di sviluppo, nel profondo Sud, la longa manus dei poteri forti – ecclesiastici su tutti – imponevano ritmi e accadimenti.
Trama focalizzante su una storia, realmente accaduta, individuale, metafora e pretesto per denunciare, senza una posizione marcatamente paternalistica o moralista, le conseguenze di condizionamento sociale e civile.
La storia di Cecilia Faragò, sposata a un ricco possidente ed ereditaria di un pingue patrimonio su cui l’avidità di un paio di canonici locali  mette le grinfie depredandola, in effetti, dei beni. Condannata al rogo, quando il rancore per il torto subito fu identificato dai canonici, fiancheggiati dalla maldicenza paesana, come eresia, stregoneria.
Amplificazione di un accaduto, riaffacciandosi sul passato, per identificare il forte strumento di pressione e consenso (ecumenico) che ha arretrato e impoverito socialmente (e economicamente) vasti territori sotto il gioco di un potere dogmatico più che esecutivo.
Un riaffacciarsi al passato per codificare attualità fortemente impregnate di un’eredità con cui fare i conti.
Una microstoria  cui ridare voce per nuovo ascolto. Un ascolto percettivo, destinando uno sguardo attento al costrutto scenico. In cui l’apparato estetico/scenografico è scenario simbolico, humus, nutriente resoconti di decodificazione. Una lingua di terra (torba) sui corridoi a ridosso del boccascena, in mezzo al proscenio e rivolti verso il fondale. Cenno di suolo, un feticcio all’unità logistica di appartenenza e relativizzazione drammatica. Sul fondale tre gigantografie, movibili, di arcani maggiori: la torre, simbolo di cambiamento, la giustizia (capovolta), e il mondo. Sulla sinistra del palco la costruzione visiva di un coro greco  composto da arcani minori (ridotti in dimensioni rispetto ai tre arcani maggiori) e sulla destra una quadriglia, di arcani minori anch’essa, rappresentanti i personaggi evocati dalla drammaturgia per bocca dell’io personale della protagonista. Ma non un monologo, strictu sensu, nemmeno una parola di narrazione. Piuttosto un materiale verbale, prosaico nel senso classicheggiante del termine, intriso delle derive post-drammatiche care a restituire un senso, un unicum, approdante per frammentarietà, per quadri dialettici.  Delineando il personaggio; i personaggi – attraverso l’evocazione e la mimesi in micro quadri di esposizione caratterizzante –; sciogliendo la matassa narrativa a mò di tramando orale; costruendo l’azione tramite la drammaturgia dell’oggetto, l’elemento vivido delle luci (non semplice illuminotecnica ma tratto della partitura spazio/temporale del resoconto). Soprattutto mediante una recitazione fortemente materica, immedesimata, emotiva. Sensoriale nei termini in cui il patto tacito tra palco e platea si concatena per un percepire attraverso l’interpellanza dei sensi (tatto, gusto, olfatto) non isolando il comune e primario impatto audiovisivo.
Il lavoro registico, di meccanizzazione, si avvale di una cura minuziosa nel comporre scene, dialettica e gesto. Una grammatica amanuense, come su spartito, in cui il “libero arbitrio” dell’attore, non mero esecutore e servo di scena, si traduce nell’espressività tipica della mediazione artistica. Non una confezione, nemmeno un ingranaggio, piuttosto un’armonia d’insieme capace di lasciarsi guardare da diversi punti di osservazione.
L’utilizzo degli elementi naturali, fuoco, terra, acqua, ridimensiona l’esoterismo del costrutto in radicalizzazioni concrete nel reale. Un reale, metaforicamente trasfigurato da credenze strutturate a doveri, a norme a cui attenersi, mettendo in luce (la luce denudante del teatro, più vera nella sua artificiosità) gli effetti socialmente avvertiti (e devastanti) di strumentalizzazione e condanne prima di tutto morali.
Un’ora di rappresentazione ricca di suggestioni destinate a incidere sotto pelle. Verso cui approcciarsi con la libertà di un ascolto/visione, non indicizzante, non retorico, piuttosto aprendo un ventaglio di possibilità di fruizione.
Ed è questo che il teatro dovrebbe garantire, l’individualizzazione dei resoconti per rinnovate riflessioni collettive.

Soverato, Teatro Comunale –  3 Febbraio 2014

Emilio Nigro

“Venaficas Calabriae” di Emilio Suraci, Giovanni Carpanzano, Emanuela Bianchi
Regia: Giovanni Carpanzano
con Emanuela Bianchi
scene: Emilio Valente
Prod.: Residenza artistica “Re-act” SOVERATO (CZ)

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