“Bastavamo a far ridere le mosche”, dialogo confessione di un clown

Sergio Longobardi e la sua compagnia Babbaluck, con la produzione di Theatre du Parc de la Villette racconta la propria storia con uno spettacolo in cui cerca di mettere insieme più forme espressive, grazie ad inserti musicali e video.

sergio longobardi 1Bastavamo a far ridere le mosche”, scritta diretta ed interpretata da Sergio Longobardi, è  un dialogo/monologo tra l’artista  eed il padre, contrario alle scelte di vita di un figlio che ha deciso di fare il clown di strada ed è emigrato volontariamente lontano da Napoli, in Francia, rinnegando in un certo senso le proprie radici, trafitto com’è dalle delusioni e dalle ingiustizie di tutti i giorni. Quello di Sergio è un racconto autobiografico: il suo amore per il teatro, il suo rapporto col padre, le sue disavventure. La demenzialità tipica della comicità e della mimica dei clown è sovrapposta alla serietà  del racconto e delle considerazioni filosofiche di Sergio: il monologo è infatti quasi interamente off-stage, grazie a letture pre-registrate che accompagnano le pose del pagliaccio.

Ad accompagnare Sergio Longobardi nel suo percorso c’è Michael Nick, il suo Buddha, gatto e violinista, e una valigia piena di tutta l’attrezzatura da clown.

Quello che colpisce nell’opera del clown esiliato è la circolarità del racconto, un raccolta di ritagli che iniziano con una voce fuori campo di un bambino, e che si chiude allo stesso modo, mentre si sovrappongono in maniera anacronistica le vicende più importanti della vita dell’attore, raccontate dalla voce dello stesso Sergio e del padre Salvatore, che ogni tanto appare proiettato di fronte allo spettatore a raccontare la sua esistenza. Una vita che contiene un’altra vita e viceversa.

Sergio Longobardi nella sua opera per raccontare gli eventi della sua storia, mette assieme, non sempre in maniera pulitissima,  una serie di citazioni e di personaggi, che in alcuni passaggi purtroppo risultano banalizzanti, attraverso la ricerca continua della poesia, forzata però troppo in alcuni punti, per una figura come quella del clown, già portatrice di grandi valori metaforici. Anche la quantità degli inserimenti delle parti di monologo off risultano eccessive e ridondanti, e corrono il rischio di affaticare lo spettatore.

Meravigliosi gli inserti musicali di Michael Nick, che mostrano una competenza sia tecnica che di ricerca sonora unica, attraverso un uso del violino fatto di armonici, dissonanze e di una effettistica molto raffinata.

Sergio Longobardi ci mostra tutte le sue competenze in questa opera andata già in scena al Theatre Les Déchargeurs di Parigi e approdata a Napoli. Dalle riprese video, da vero documentarista (forse i momenti migliori)  all’interpretazione di un brano di Fabrizio De Andrè nel finale (“Ottocento”), Sergio dimostra di voler creare un’opera dall’ampia caratterizzazione espressiva, anche se con risultati alterni. Resta allo spettatore un naso rosso, e l’attore che si muove volutamente in maniera goffa sul palco, come si addice ad un vero clown.

Napoli, Galleria Toledo, 07/02/2014

Francesco Di Maso

Share the Post:

Leggi anche