Vanni Piccolo a Napoli, il passato che avverte il futuro
ma il grido di dolore si perde nel deserto

“Lettera ad un giovane amico”, scritto e interpretato da Vanni Piccolo per la regia di Mariano Lamberti e la partecipazione di Orazio Rotolo Schifone, è ben più di un un semplice spettacolo.

Vanni porta a Napoli, nel cuore della “gay week”, un vero e proprio scrigno di testimonianze storiche di decenni di attivismo vissuti in prima fila, dei cui risultati godono i giovani di oggi, seduti comodamente su diritti conquistati grazie alle battaglie altrui. Cadono come lapilli le immagini video e le parole di Vanni, che trovano il loro acme emotivo negli anni dell’Aids, e nella faticosissima ripresa. Il funerale di Judy Garland, la rivolta di Stonewall, il sangue di Monte Caprino a Roma e di Giarre, ma anche la leggerezza, la “favolosità”, i costumi. Per nulla facili, e ben eseguite, le controscene mute di Orazio Rotolo Schifone, cui Vanni Piccolo consegna idealmente la staffetta della vita, e della lotta.

Generosa, coraggiosa e tagliente la conclusione dell’evento, con l’indignazione dell’artista calabrese, già apprezzatissimo preside a Roma, verso l’attuale governo, e le possibili derive liberticide. Tra gli applausi convintissimi dei più adulti, spicca, e addolora, e infine preoccupa, la distratta accondiscendenza – che sfiora l’indifferenza – dei più giovani, appostati a fondo sala del – comunque gremitissimo – cortile di Palazzo Fuga. Sculettare al pride non è attivismo, è passerella. E nessun diritto è per sempre. Quando qualche anima candida capirà da che mani si sta facendo gioisamente stritolare, sarà certamente troppo tardi. Si stenta a capire che tipo di anziani saranno costoro. Non certo simili a Vanni Piccolo, che sarà stato anche giovane, con tutti i suoi sacrosanti errori, ma avercene di uomini come lui.

Resta l’amarezza per l’ennesima occasione sprecata per accendere il falò di una rivoluzione di cui nessuno, al momento, sente avvertire l’esigenza. Nulla si può imputare a Vanni Piccolo, e a quelli come lui, che ancora lanciano – come la stampella di Enrico Toti – le ultime grida di dolore. Succhiando cocktail e scambiandosi foto oscene sulle app, i “giovani amici” di oggi – non tutti, si spera – sembrano i passeggeri del Titanic che continuavano a ballare mentre la nave affondava tra i ghiacci. Un secondo dopo lo spettacolo, era già pronta la discoteca, per stordirsi ancora un po’, lobotomizzati e felici.

Qualcuno prima o poi chiuderà la stalla, ma i buoi saranno già scappati.

Antonio Mocciola

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