“Tutti su per le scale”, comiche e sogni

Per un temperamento tragico come me è sempre difficile recensire spettacoli comici, specie se non cabarettistici, ma sul versante della commedia lieve. Tuttavia questo Tutti su per le scale (Teatro Hamlet, Roma, 26-28.5.2023) – scritto da Danilo Meriano e Nicole Pezzotti – ha un suo perché, una sua grazia, un suo ritmo.

Oscilla tra le gag da avanspettacolo, talora da cabaret, ed una deriva che va dalla commedia dell’arte al sorriso goldoniano. E a tratti ricorda il melò sognante di Chaplin.

E’ la saga della sfiga che si trasforma nella saga dell’amore e della solidarietà, con un sottofondo di ottimismo magico nazional popolare, e lievemente buddista.

Non a caso così recita il monologo conclusivo della sfigata d’ouverture, che aveva aperto con disperata confessione da ubriaca, Giulia (una ipercinetica Nicole Pezzotti)

Un terremoto. Tutto è stato come un terremoto. Assurdo. Forte. Sconvolgente. La mia vita è cambiata tutta ad un tratto. Dalla notte all’alba. All’inizio me la sono un po’ presa, e tutto mi è sembrato terribile, privo di senso. Ma tutto accade per una ragione. Gli incontri. I segni. L’universo. Le coincidenze. Almeno così sembra. Ma poi infondo, anche se non fosse così, stanotte ho imparato ad attraversare la vita come se fossi in piedi su un tetto, e mi lasciassi cadere, senza alcuna resistenza. Morbida, leggera, come una piuma che danza nel vento

I protagonisti sono cinque semplici, che casualmente si ritrovano a incontrarsi scontrarsi sulla terrazza di un condominio, che poi è la scena fissa di tutto lo spettacolo, allestita con mattoni sparsi e reti di plastica da lavori in corso.

Dicevo commedia dell’arte, perché più che persone sono tipi, nuove maschere moderne.

Dimitri, lo slavo impulsivo e sentimentale

Vania, la gelosa passionale

Sergio, il falso bullo, frustrato periferico e sognatore

Giulia, quella che non crede più agli uomini

Michele, il timidone goffo che conquista per la sua ingenuità

Tutto comincia al buio, dove sotto un telo mosso a onde sta accovacciata Giulia, che poi emerge col suo convincente e comico monologo da ubriaca. Segretaria e amante di un avvocato di grido, e ora cornificata, licenziata e sfrattata, ride, maledice il suo karma di merda, e poi si trasferisce nella scena centrale (la terrazza condominiale), dove cammina sulle note di Je ne regrette rien, di E.Piaf, che fa da leitmotiv a tutto lo spettacolo, e per chi la conosca già ne anticipa il lieto fine. Per ora tuttavia Giulia mima il proprio affacciarsi nel vuoto, monologando su una malsicura tentazione di buttarsi di sotto.

Viene però interrotta da Michele (Bruno Petrosino), e qui comincia il gioco di tutto lo spettacolo, che viaggia sullo spostamento per interruzione o assurdo di tutti gli impulsi, con un buon ritmo scenico. Nello specifico tuttavia Giulia e Michele restano l’architrave portante. Lui è un Pierrot Lunaire, un Buster Keaton. Vergine e goffo, appassionato di astronomia, lentamente porta alla sfasatura e al decentramento il discorso di lei, fino allo slittamento finale nel sogno e nell’amore. Ci sono varie gag di contorno, e che sono comiche proprio per il loro attonito ripetersi: il suo pupazzo di unicorno, per cui tutti lo prendono per gay; le sue tirate sul fumo elettronico che non fa male. E poi c’è la balbuzie, che ogni tanto supera quando con emozione fa lunghe tirate teoriche, assolutamente fuori contesto, e dunque surrealmente comiche. Quello che tuttavia rende diverso l’asse poetico incarnato da Michele, e che destruttura tutti, è la sua interpretazione fisica. Petrosino sa essere posturalmente attonito, oscillatorio.

E’ antinaturalistico, keatonianamente alieno in mezzo alla veemenza ingenua e tipizzante degli altri, che si susseguono portando ostacoli e commedia degli equivoci.

Bravo lo slavo irruente, e tutta la sua sarrabanda con Vania, su gelosia e menzogne per amore. E divertente, quando arriva, con la sua veemenza alla calabrese, Sergio, prima rapinatore imbestialito perché disturbano il suo lavoro (li vorrebbe picchiare e uccidere tutti), e poi fiume confessionale in crisi, fallito che tutti devono consolare.

Tuttavia l’assurdo che li smonta – il muro alieno contro cui s’infrange il loro naturalismo tipizzante – è la figura di Michele. Su di lui scivolano, e la gag televisiva si destruttura in perplessità, poesia, crisi, preparando il lieto fine, forse un po’ solidaristicamente predicatorio, ma in risalita poetica con lo sbocciare dell’amore di Giulia e Michele.

Marco Buzzi Maresca

 

 

Scheda tecnica

Tutti su per le scale

di Danilo Meriano e Nicole Pezzotti

regia Danilo Meriano

assistente regia Federica Giarè

con Nicole Pezzotti, Danilo Vanella,

Polina Gracheva, Bruno Petrosino, Carmelo Poppo Mianulli.

assistente produzione e tecnico Simone Ceccarelli

costumista Giulia De Carolis

scene Giuseppe Bianchi

disegno luci Simone Sadocco

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