Ogni artista ha delle costanti, stilistiche e tematiche, e così pure il duo Rezza-Mastrella,
ormai da un trentennio sulle scene, e agli onori della cronaca e della critica, mostri sacri
dello sberleffo e della critica esistenzial sociale, ed abili a coinvolgere il pubblico nel
gorgo della decostruzione attraverso un abile mix di comicità alta e nazional popolare,
un varietà ed una trafila di gag televisive, che dirazzano per slittamenti e ritmicità
nell’assurdo, nella crudeltà, nello scavo tragico. Senza parere. Una avanguardia che
riesce nel miracolo di farsi amare dal pubblico, con l’ammicco di un falso
maltrattamento, e, stordendolo in velocità, a fargli ingoiare messaggi più forti di quello
che non paia.
Interessante in questo senso misurare, a venti anni di distanza, l’impatto di uno
spettacolo come ‘Fotofinish’ (del 2003, è di poco posteriore alle Torri gemelle, e coevo
dello sbarco USA in Iraq), ora appaiato ad ‘Amistade’ (2021-22) e ‘Hybris’ (2022) nella
rassegna (non la prima) che il Teatro Vascello dedica al duo (dicembre 2023-gennaio
2024). Un impatto che permane, perché attuale rimane la situazione nella società del
capitalismo maturo, tra alienazione quotidiana ingiustizie guerre.
Nello spettacolo si vedono in filigrana, e talvolta in modo ancora un po’ naif, i fili
tematici di Rezza, qui ancora scopertamente e prevalentemente politici, ma che già
virano ad incrociarsi con la deriva esistenziale dell’alienazione indotta dal sistema.
Il leitmotiv politico, in seguito più amalgamato, qui è chiaramente messo in rilievo da un
refrain costante che scandisce i quadri tematici che si susseguono.
Ad ogni svolta infatti il nostro scandisce con voce querula, sovracuta e ironica, un
appello al pubblico, più volte ripetuto: “Cittadini !!”
E sia ben chiaro, un appello ironico ed ambivalente. Perché se da un lato sembra
chiamare al risveglio della coscienza, altresì chiaro è dall’altro che si irride la totale ‘non
cittadinanza’, la passività della gente. Il cittadino quindi – smarrito e coinvolto, e come si
capirà, anche ritratto nella sfiga del protagonista – viene sottoposto (qui come in molti
spettacoli del duo) al gioco ad incastri circolari, per salti e rimandi, dei blocchi tematici,
non sempre chiaro, ma crescente, per accumulo. Tutto si svolge nella cornice delle solite
macchine sceniche della Mastrella, qui in tela bianca ( un prevalere tra il mortuario e il
manicomiale ospedaliero): ora totem verticali in cui infilarsi per spezzare il corpo in
fotogrammi, ora oggetti mobili, come delle sfere a spicchi, o una bicicletta racchetta.
Perché però il titolo, ‘Fotofinish’ ? Letteralmente è la tecnica fotografica per fotogrammi
separati, per stabilire l’ordine di arrivo nelle corse. E quindi ci indica il primo dato
alienante, poi qui comicizzato apertamente col tema della bicicletta: la società come una
corsa al massacro, tra vinti e vincitori, dove nessuno vince. L’idea della foto a
fotogrammi separati però allude anche alla manipolazione delle immagini e dei
messaggi. Manipolazione cosciente da parte del potere, ma anche inconsapevole auto
manipolazione introiettata. Ecco dunque che all’inizio – usando un verticale di teli
bianchi, a settori a ghigliottina – la prima gag riguarda un fotografo che ritrae se stesso,
dandosi direttive come se parlasse ad un altro. La gag si ripeterà più volte, ma costante
sarà l’idea della segmentazione del reale: non la persona, ma il profilo, un dito, una
mano (del politico) o, più liberatorio, un bacio gay.
Dunque, politica, sberleffo demistificazione. Macchine sceniche di stoffa, macchine
corpo, che lo segmentano e ne sono mosse. Questa la cifra già allora, e negli spettacoli
successivi. E Rezza che salta e corre ipercinetico, urlacchiato, in perenne apostrofe-
racconto al pubblico, con attonite posture e maschere facciali stop motion.
La voce prevalentemente in sovracuto isterico o infantile, con rare ed incisive sferzate di
controcanto roco gridato (l’equivalente del fatto che ciclicamente il deuteragonista
muto, Armando Novara, passi in scena percuotendo il pavimento a colpi violenti di
frusta) a disvelare il gioco che gioco non è. E talora, a terra, accovacciato, regressioni in
borborigmi animaleschi, in gramelot.
Torniamo agli incastri tematici, per slittamenti, giustapposizioni, recursività.
Dalle foto che per essere riuscite ti devi aggrappare a Dio si passa ai programmi
elettorali del fotografato. La sicurezza stradale, e di lì il tema dell’ospedale (incarnato da
una sfera di tela a spicchi, simbolo di una istituzione bucata). E nell’ospedale una serie di
comiche sul malfunzionamento, che poi vira in una gag delirante sulla gara delle suore a
chi consola meglio. Il tema della gara, la critica alla religione. Poi un salto apparente: le
foto ai gay (tolleranza in opposizione alla religione). Poi si torna alla politica declinata
ora nell’assurdo quotidiano alienante. Rezza gira in tondo, casa ufficio con postura
depressa, ortopedico psichiatra con postura eretta. Per un po’ funziona. Poi no. Troppe
spese, e manicomio. Ora l’altro lo porta in giro per la scena, in tondo, in carrozzella. E via
discorrendo. Segue una gag sul bambino infelice che deve vincere una bicicletta (il tema
della competizione fin dall’infanzia). Poi una gag su un ricco proprietario di casa, ma
devastato da muto ed invidia sociale. Poi le torri gemelle ed una astronave vengono rese
monoposto, per scongiurare tragedie e per egoismo sociale.
Poi è la volta del bambino infelice di quattro anni che sogna l’infarto come via di fuga, e
della distinzione – per una bambina di cinque anni – tra la visone di film porno o erotici.
Poi c’è un cane da guardia, custode della casa del ricco, che in seguito si rivela solo un
randagio senza padrone, ed alla fine viene dichiarato essere il protagonista, che ha
problemi psicologici devastanti. Un cane ( e quindi lui ? ) che morde in platea, e ruba.
E poi, ancora … L’alienazione dei poliziotti e dei militari, e la guerra. Segue che il
pubblico viene tirato in scena, ammazzato per finta e coricato. E poi realmente palpato,
dove il sesso oscilla tra manipolazione da parte del potere e la rivalsa sociale: “Tanto
erano già morti!”
Del resto col progredire dello spettacolo, sempre più sembra che l’unica liberazione
possibile sia la trasgressione sessuale intesa come irrisione attraverso il nudo,
ampiamente esibito comicamente dal nostro in più posture. Una sessualità che se qui
ancora è semplice (anche se se ne irride l’onnipervasività e commercializzazione), negli
spettacoli successivi diventerà – come dicevo in una recensione ad ‘Anelante’ (Fogli e
parole d’arte, 2016) – angoscia anatomica, spasmo del desiderio, corsa nel nulla di un
disperato burattino metafisico.
‘Fotofinish’, comunque, come tutti gli spettacoli di Rezza, è un turbine, un vaudeville, un
carnevale di fuochi d’artificio, e di ipercinesi cerebrotica e corporea: un lunapark
dell’assurdo e della denuncia. Il pubblico probabilmente, però, travolto dal ritmo,
rimane preso più da micro comiche e micro trasgressioni, e rischia quindi di soggiacere
ad un livello di superficie apparentemente banale. Anche se certo, nell’accumulo e nello
stordimento, qualcosa del lato profondo passa.
Ma Rezza lo sa.
E come sosteneva di sè Mozart, scrive note per tutti i livelli di ricezione, e ti scodella il
complesso tra le nebbie del semplice, sì, ma dove serve, ti dà la sveglia esplicitamente,
come nel caso del cane, che mutando progressivamente di segno, alla fine si denuncia
come la sintesi di tutto
“il cane è feroce .. è perverso .. apparentemente ladro .. senza padrone, e l’osso se lo
lancia da solo .. se mi fate sfogare mi fate il cane più felice del mondo .. perché io c’ho un
sacco di problemi !! … il cane non è mio .. è un bastardino .. chiedeva miseramente
affetto .. ha problemi gravissimi … la sera .. prima di andare a dormire sto una merda !!
E spero che la mattina sia qualcun altro a risvegliarsi .. e invece sono sempre io !
Ma la cosa che più mi addolora è che avete pensato che questo fosse un cane
Il cane che mi chiedeva affetto non è mai esistito .. Quel cane ero io. Per darvi le quattro
risate di stasera vi assicuro che io c’ho problemi serissimi. E da questa risata trattenuta
credo che ve ne siete accorti anche voi .. e uscendo da qui vi chiederete. Ma possibile che
non ci siamo resi conto prima che stava così male ?”
Il tragico comunque si affretta in Rezza sempre a negarsi e sciogliersi in battuta, e nel
pubblico si sedimenta, in leggerezza., assieme all’eccitazione e all’emozione di essere
continuamente provocato e coinvolto.
Una scommessa ambigua, ma un intrattenimento sicuro, e forse qualcuno penserà in
termini critico brechtiani, ma alleggerito dal comico, che sì, effettivamente stiamo così
male.
Marco Buzzi Maresca
"Fotofinish"
con Antonio Rezza
e Armando Novara
(mai) scritto da Antonio Rezza
regia: Flavia Mastrella e Antonio Rezza
allestimento scenico: Flavia Mastrella
assistente alla creazione: Massimo Camilli