Simone Pagnotta, “Storie brevissime sopravalutabili”
“Colgo le contraddizioni del mondo, e le scrivo”

Simone Pagnotta é reduce dalla pubblicazione del suo primo libro, edito da Croce, “Storie brevissime sopravalutabili”. Dopo la presentazione romana, l’autore cilentano é pronto al suo esordio partenopeo. Lo abbiamo incontrato per una breve intervista.

Un libro d’esordio è sempre molto personale, di solito ha una gestazione lunghissima. Nel tuo caso com’é andata?

Una certa tentazione di esprimermi con la scrittura l’ho avuta a partire dagli anni del liceo, e in più casi ho ceduto. A scuola, e più tardi all’università, quando mi veniva in mente un’idea la elaboravo e ne veniva fuori qualcosa che poi conservavo. Oppure, se ero impossibilitato a sviluppare l’idea, la segnavo su un taccuino e lì sopra prendeva peso, e allora finivo per utilizzarla più tardi; o perdeva peso, e allora rimaneva lì inerte e senza seguito. In altri casi, era la voglia di scrivere qualcosa che mi ha spinto a farlo, insegnandomi più il potere della disciplina che dell’ispirazione. E anche così è capitato nascesse qualche storia o composizione. Non che l’aborto non fosse un altro esito potenziale.

Se la scrittura in sé è sempre stata uno strumento di mio gusto e necessità, invece è recente il desiderio di confrontarmi con un lettore sconosciuto, due o dieci. Dunque direi che le storie presenti nel libro sono nate in periodi diversi, alcune sono più recenti e altre lo sono meno. Da questo punto di vista, la gestazione del libro, come dici tu, non è stata breve. Ma l’intenzione di metterle insieme e pubblicarle ha trovato la sua foce in tempi rapidi e di recente. Per cui, il travaglio e il parto non sono stati particolarmente traumatici. Di grande aiuto è stato il mio amico e scrittore Andrea Giampietro, che ha solleticato la vanità della pubblicazione e che mi ha indirizzato verso le persone giuste.

Come definiresti il tuo stile, e cosa racconta il tuo libro?

Direi che il mio stile è concreto e schietto, a volte laconico quando è funzionale a sollevare una suggestione o un effetto, secondo un certo gusto ermetico. Ma non mancano affatto casi in cui i testi si arricchiscono di aggettivi e i concetti e le immagini frugano tra le potenzialità d’eleganza e ricchezza della lingua italiana. L’espediente dell’ironia è spesso cercato, il paradosso corteggiato e il “fantastico” e il surreale messi a servizio di un certo impegno sociale.

Il libro è una raccolta di racconti, suddivisi in tre categorie in base alla loro brevità. I temi possono essere molto vari, dai rapporti di coppia alla implicazioni del crescere, alle vicissitudini di una donna sola o di un uomo solo. Probabilmente ciò che li tiene insieme in modo organico è il mio sguardo sul mondo, che tuttavia non disdegna di accogliere anche le contraddizioni che a quella organicità minano. A questo proposito, alcuni racconti rappresentano una “caduta di stile” che ho voluto conservare nel nome della tutela del disimpegno occasionale. D’altronde capita che si cammini per una stradina del centro di Napoli e si conficchino nelle narici, nell’ordine, odore di cornetto, poi di pizza, poi di sfogliatella, poi di urina e poi di nuovo di pizza, no? Perché escludere l’odore molesto, se sta là? Fingo che non ci sia?

Quali sono i tuoi gusti letterari? Essendo tu anche un cantante e musicista, queste attitudini hanno influenzato anche il tuo modo di scrivere?

I miei autori preferiti sono Stefano Benni, da cui ho imparato che si può scrivere in modo umoristico, e Dino Buzzati, che ammicca al magico e all’assurdo tenendoli sempre puntati alla crudezza della realtà. Altri autori che amo sono Italo Calvino, Erri de Luca, Kurt Vonnegut, josè Saramago, Stephen King. Credo che nella mia scrittura ci sia una piccola impronta di ognuno di loro, in qualche modo.

Sì, amo molto il canto, che attualmente sto studiando, e la musica in generale. Sono cresciuto con i cantautori italiani. Ho scritto delle canzoni, e non c’è dubbio che lo stile in cui mi sono speso in quel caso sia cantautorale. Ma credo che abbia avuto sulla mia scrittura in prosa più effetto il cinema che la musica. Per esempio, l’umorismo di Woody Allen, con cui sono cresciuto, mi ha senz’altro condizionato. E così anche la generica visualizzazione di scene in uno schermo (una storia come “Una sciocchezza” l’ho immaginata prima come cortometraggio e poi come componimento per il libro).

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