‘Salveremo il mondo prima dell’alba’
Anche i ricchi sono infelici?

 

Stupidità, caso, tragicommedia
Una casa di cura cosmica per un disastro cosmico
Anche i ricchi sono infelici ?
Questo è il presupposto retorico sentimentale che innerva questo ennesimo
parto dell’ipertrofia testuale tipica di Gabriele Di Luca e della Carrozzeria
Orfeo – ‘Salveremo il mondo prima dell’alba’ (Roma, Teatro Vascello, 5-
17.3.2024) – con i suoi alti e bassi di ritmo ed intelligenza, al confine però
sempre tra affondo tragico e banale ideologico, anche per la aleatorietà del
materiale che di solito maneggiano, che è la fotografia della pericolosa
miscela di luoghi comuni da cui la nostra esistenza quotidiana è parlata,
attraversata, macellata, con inestricabile tessitura di tragico e comico.
Il rischio – e talora accade – è tuttavia che il materiale ti divori, ed il banale
ti risucchi, appiattendo l’acido del grottesco che lo dovrebbe tenere a bada,
portandoti a slittare su una comicità televisiva, dove solo ritmo e attenta
dosatura possono salvarti da un applauso del pubblico che è più
rispecchiamento inconsapevole che coscienza critica.
I ricchi sono infelici ? E redimibili da terapia e sentimento ? Dall’incontro
con l’altro ? Così si slitta nell’ottimismo sentimentale ed ideologico,
nell’utopismo, ed il testo fa lo slalom con impegno per evitarlo. Si tenta di
mantenere così a lungo l’assunto critico dell’irredimibilità e stupidità
dell’essere umano, oscillando tra una media presenza televisiva e
macchiettistica ed un ciclico emergere qua e là di battute di fulminante
comicità. Poi il filosofico tende a sommergere il nonsense e si fa verso
l’esito finale, ma con un irrisolto altalenare tra critica, poesia, tragedia e
alleggerimento.
Cosa succede ? Un gruppo di caricaturali privilegiati delle classi alte si
ritrovano in un ritiro terapeutico satellitare, un po’ new age, nel poco
convinto tentativo di arginare la sofferenza delle loro dipendenze da
successo, arrivismo, sostanze. Così una pop star macellata da
insoddisfazioni sentimentali, una coppia di gay in crisi, ed un duo servo
padrone si alternano in una sarabanda di rapporti mezze confessioni,
marce indietro, portati al circo della propria anima da un terapeuta –
americanamente ribattezzato ‘coach’ (come se si trattasse di uno sport
dell’anima) – che li circuisce con ironia obliqua e leggerezza pop, sempre in
camicia hawaiana e shorts arancioni.
Tanti film abbiamo visto, americani ed italiani, fare l’eterna comica medio
critica su terapia e mode new age. E si oscilla sempre tra pessimismo
critico sulla terapia come moda stupida e agro dolce dell’apertura delle
anime. E anche qui succede. Incrociandosi nella convivenza, pian piano i
personaggi si avvicinano, rivelano, confessano, e lievemente si modificano.
Ma non è veramente credibile.
Rimane tra gag di superficie e confessionalismi improbabili.
Così i due gay scoprono le relative fragilità, e riescono a riaprirsi all’amore,
e la pop star confessa il proprio vuoto di fronte alla morte di suor Teresa,
sorta di madre sostitutiva. Più interessante il duo servo padrone, dove il
servo – Nat, un bangladino senza un braccio, ingenuamente pacifista ed ecologista – fa da contraltare a tutto il nonsenso cinico degli altri. Sogna il
paradiso degli animali, e viene poi rieducato dal padrone a fare soldi,
postando i suoi video buonisti, salvo poi scoprire che ha milioni di followers
solo perché lo reputano un cretino.
Il duo è interessante perché – anche se caricaturale – nessuno dei due si
converte. Il padrone, William, è un po’ intenerito dalla goffa ingenuità del
servo, Nat, ma anche non lo sopporta, e rimane un cinico trafficante
capitalista, che manipola politica ed e economia creando fake news. E ci
costruisce anche una morale: la gente ci vuole credere, perché conferma i
suoi pregiudizi semplificatori e semplicistici; e le religioni non sono altro che
fake news durate millenni.
I due rappresentano anche le due vie, il motore divaricato del finale. Da
William deriva una serie di coincidenze – mix di caso e idiozia – che porta
alla fine del mondo, mentre Nat sarà il seme della rinascita.
Come funziona la sequenza ? Il gay – da un precedente matrimonio – ha
una figlia che sta con un rom, e non vuole. William allora, ora suo alleato,
inventa che il rom sia un trafficante di organi (occhi azzurri come i suoi).
Il rom scappa, ma la sua auto sbanda perché inondata da merda di cigni,
fuggiti da una sassaiola in Bangladesh, e investe un funzionario ONU
responsabile dei progetti per una svolta green mondiale. Degli idioti
interpretano ciò come un complotto, e per protesta disattivano una centrale
nucleare, e da qui, con una reazione a catena, scoppia una guerra
nucleare. Fine del mondo. Restano solo, sul satellite, Nat e la pop star, e
una scatola di semi del vivente. La novella arca di Noè, e loro novelli
Adamo ed Eva di una futura palingenesi. Ma attenti non mangiare la mela.
O forse sì. Forse la vita è eterno ritorno. E giù, in voce off – sopra i due,
basiti pupazzi comici – filosofemi pseudo poetici. Non ricevibili,
francamente. Insomma. Manca la scelta tra cinismo critico e utopia. Tra
comicità e stralunata mestizia. E’ un va e vieni.
Più interessante, qua e là, il registro grottesco satirico, articolato anche
scenicamente su piani laterali, in controcanto alla statica scena centrale a
piena luce televisiva. Avvengono infatti ciclicamente, in penombra, in due
cabine laterali illuminate, controscene di sadismo comico competitivo, o di
frustrata confessionalità. Buffo per es quando il gay, industriale frustrato di
farine d’insetto, rabbioso verso William, che teme lo boicotti, mentre dorme
gli mette il cazzo in bocca. E rivelatorio più avanti quando, nella stessa
cabina, secondo la hegeliana dialettica servo padrone, William chiede a
Nat di sadizzarlo.
E più divertenti, anche se talora un po’ televisivi, alcuni tormentoni comici,
rivelativi degli stereotipi di cui vivono i protagonisti. E’ il caso delle tirate
contro i poveri di William, o delle polemiche pseudo femministe della pop
star sugli uomini che pensano solo alla fica. Queste in particolare danno
poi la stura ad un trenino di gag a più puntate, ruotanti intorno ad un
concorso a chi di loro la saprà meglio disegnare la fica, dato che per lei non
sanno come sia fatta.
Gli attori ?
Bravi, ma nei limiti stilistici che gli dà il testo.
Insomma.

Se di pericolosa idiozia umana si voleva parlare, e del rischio apocalittico
che ne consegue, sarebbe stato meglio abbreviare, intensificando il ritmo e
il grottesco, a scapito del sentimento.
Non è tuttavia un caso, ma un tic già presente in altri spettacoli del gruppo.
Si parte acidi, ilari, a ritmo, ma poi il tutto si sfianca, dilunga, perde in mille
rivoli, e sempre di più si fa largo la tentazione didascalico buonista, che
apre le porte a prospettive di sogno e redenzione. E così si genera nel
pubblico spossatezza e confusione, anche se difficilmente una totale
ripulsa. Perché i materiali e le prospettive restano comunque tanti, e pieni
di spunti. Ma proprio per questo può ingenerarsi l’irritazione di aspettative
alte che poi franano nell’indefinito di una nebbiosa insoddisfazione mista a
stanchezza.
Due ore di spettacolo.
Non si può non applaudire, ma un applauso perplesso.

Marco Buzzi Maresca

 

‘Salveremo il mondo prima dell’alba’
Uno spettacolo di CARROZZERIA ORFEO
Drammaturgia Gabriele Di Luca
Regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi
Assistente alla regia Matteo Berardinelli
Con Sebastiano Bronzato, Alice Giroldini, Sergio Romano,
Roberto Serpi, Massimiliano Setti, Ivan Zerbinati
Consulenza filosofica Andrea Colamedici – TLON
Musiche originali Massimiliano Setti
Scenografia e luci Lucio Diana
Costumi Stefania Cempini
Creazioni video Igor Biddau
Con la partecipazione video di Elsa Bossi, Sofia Ferrari e Nicoletta
Ramorino

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