”Now is the winter of our discontent”: il monologo del Riccardo III, sinistra e inquietante ossessione nella messinscena di Michele Sinisi

”Now is the winter of our discontent”: è questo l’inizio del monologo del Riccardo III di Shakespeare (Atto I, Scena I), un monologo che vale la bellezza dell’intera ultima opera della tetralogia minore del Bardo sulla Storia inglese e che probabilmente risuona nella nostra memoria in virtù di interpretazioni memorabili, quali quella di Laurence Olivier, Al Pacino, David Morrissey e la più recente, magistrale, intensa di Kevin Spacey.
L’intera messinscena di Michele Sinisi, che trasporta il Riccardo III in una sala prove spoglia ed underground, ruota intorno alle poche righe di questo monologo che, ripetuto in maniera nervosa e ossessiva, arriva allo spettatore come un drammatico memento, dal suono cupo e inquietante, dal sound sinistro e ipnotico, dolorosamente foriero di lugubri presagi.
Ma la tensione drammatica che il bravissimo ed energico Michele Sinisi porta in scena in Now. Prove sul Riccardo III di William Shakespeare, scritto con Francesco M. Asselta, non è tanto quella che attinge la storia dello storpio e malvagio re Riccardo III, quanto quella che coinvolge e sconvolge l’esistenza dell’attore in prova, attore di cui seguiamo la disperata struggente ricerca di una presunta, forse irraggiungibile, perfezione interpretativa.
Tra l’attore protagonista della messinscena e il monologo del Riccardo III si instaura un corpo a corpo intimo e brutale, muscolare e senza sconti che non si interrompe quasi mai per l’intera durata dello spettacolo: Michele Sinisi ci restituisce in maniera potentissima l’angoscia e l’insoddisfazione dell’individuo che tende, per indole e nevrosi, a perfezionare fino alle estreme conseguenze il proprio progetto di vita o di lavoro, emulando standard e modelli, sperimentando col corpo e con la voce, sfidando la pena e la solitudine, trasformando il luogo in cui vive e/o lavora in una specie di macelleria o forse in un’allucinata sala autoptica, sul cui unico freddo tavolaccio di metallo rettangolare si scompone e ricompone il respiro, il corpo e il gesto dell’attore e dell’uomo condannato, irrimediabilmente, a precipitare nel baratro dell’ossessione, dell’invasamento e della devastante apocalittica sconfitta.
Galleria Toledo di Napoli, replica del 28.11.2023
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