“Nel mio cattivo stare” di Antonio Mocciola
Lorenzo Mereu e la nuda solitudine di un poeta

Dopo aver affrontato il personaggio di Giacomo Leopardi in “Leopardi amava Ranieri” (nell’ottica dell’amore disperato e fallimentare verso il nobile partenopeo) e nell’attesa di ritrarlo in un lancinante e irrisolto rapporto con la madre Adelaide (che sarà interpretata da un’attrice sublime come Elena Cantarone), Antonio Mocciola porta in scena un breve monologo in cui il giovanissimo poeta è immerso in un soliloquio prima dimesso e poi carico di invettive in cui il poeta recanatese prova a divincolarsi dalla morsa micidiale famiglia-società-dio.

Ad interpretarlo, una giovane promessa del teatro italiano, Lorenzo Mereu, che offre il proprio corpo completamente e perennemente nudo agli sguardi di un mondo (ovvero il pubblico) che giudica – oggi come allora – l’essenza a partire dalla forma.

“Nel mio cattivo stare” farà discutere, e nel frattempo abbiamo incontrato l’attore durante le prove di uno spettacolo che lo stesso Mocciola dirigerà, e che è pronto alla prima data romana.

“Nel mio cattivo stare” gioca ambiguamente sull’aggettivo, che in senso latino è inteso come prigionia, e in senso moderno come scomodo, sgradevole. L’adolescenza di Giacomo Leopardi é qui raccontata in un excursus di inibizioni e tentate ribellioni, alla madre e a dio, a cui non credeva, peraltro. Com’è stato entrare in questo tipo di mondo?

Non così difficile, in un certo senso. Seppur in maniere diverse, siamo tutti ogni giorno costantemente sotto giudizio della società e da molte persone fin da quando nasciamo. Cresciamo tutti con dei limiti, delle inibizioni, chi più chi meno, non solo sessuali. Io stesso ho avuto nella mia vita moltissime occasioni dove sono stato spesso giudicato e soppresso, perlopiù a livello creativo. Non ho avuto spesso modo di esprimermi come meglio potevo. Questo mi ha fatto sentire più vicino alla figura di Leopardi, soprattutto dal lato della rabbia.

In scena sei da solo, completamente nudo per tutto lo spettacolo. Di fronte a te, la presenza e l’attenzione di un pubblico che chiede al tuo corpo, alla tua voce, di raccontare una storia, senza nessun tipo di orpello, di scena, o di effetti speciali. Cosa ti spinge ad affrontare questa sfida, in cui l’intenzione, il gesto, acquisisce una fragilità, un’emotività più viva, più cruda? Come la vivi? Secondo te c’è ancora pregiudizio in Italia nei confronti del nudo, specie maschile, al cinema o in teatro?

Sono stato spinto a portare questo spettacolo per più motivi, fra cui la grande empatia che nutro nei confronti di Leopardi, amando le sue opere e empatizzando molto con lui sulla sua visione del mondo e delle cose. Vivo questo ruolo in maniera molto struggente, data come ho detto la grande empatia che ho nei suoi confronti fino a provare il suo dolore sulla mia pelle. Per quanto riguarda l’argomento nudità, specialmente sulla figura maschile: sì. Reputo sia presente tutt’ora in grande scala un grande tabù su nudità principalmente maschile, che però nel corso degli anni per quanto ancora per molti scandaloso nel teatro e nel cinema, vedo avvalersi di grandi sostenitori nelle nuove generazioni. Lo vedo come un cambiamento da abbracciare molto volentieri, specie se questo porterà le persone a immedesimarsi nei personaggi e a trovarli più umani nel loro intimo. 

Cosa pensi possa darti questa esperienza così estrema nel corso del tuo percorso artistico?

Sicuramente una gavetta di questa portata con tutti i brividi che ne conseguono, con tutta l’emozione e l’ansia, è fonte di grande esperienza che accompagnerà una possibile carriera futura attraverso una grande spinta. È un privilegio e un’emozione avere un occasione così importante, sia nell’opportunità di avere spazio in un palco, cosa che non avrei mai giurato di avere, e sia nell’avere l’occasione di rappresentare un personaggio che mi sta così a cuore in una versione così intima e struggente.

Come ti definiresti come attore? Pregi e difetti.

Partendo dal mio più grande difetto, per quanto mi faccia ridere, è la memoria. Mai eccelso nel fattore mnemonico. È un fattore molto importante in questo ambiente e spero di migliorare molto presto, utilizzando questa esperienza sicuramente per curare questa mia pecca. Nei pregi posso definirmi portato nell’immergermi nei panni di pressoché qualsiasi tipo di persona con grande facilità. Ho avuto, almeno per ora per un ventenne, moltissime esperienze con tantissime persone, tentato di empatizzare con ognuna di esse approfonditamente. Questo mi facilita molto l’effetto accendi-spegni ad interruttore, mi viene molto bene spegnere le emozioni quando serve, o amplificarle e crearle con tanta convinzione quando mi pare. Penso di essere piuttosto versatile. Inoltre mi viene spesso detto di essere molto espressivo, e sono sicuro che questo mi aiuterà moltissimo in questo mondo.

E’ la prima volta che affronti un monologo? Che tipo di emozione provi? 

Tecnicamente no ma formalmente si. Ho già effettuato un monologo per un provino a Cappella Orsini ad una piccola rassegna, ma non finii di studiare il monologo in tempo pur avendolo scritto io, e nel panico beh ho improvvisato. Ma possiamo definirlo il mio primo monologo portato in pubblico. Ma mai in uno spettacolo come questo. Mai in questa maniera. Questo è il mio primo monologo portato metodicamente e con cura, per uno spettacolo vero e proprio.

Il tema della nudità è qui declinata come forma punitiva, e in un secondo momento provocatoria. Nel mostrarti tutto nudo al pubblico é più forte l’imbarazzo, l’incoscienza o riesci a nascondere il tutto dentro al personaggio? 

Non provo imbarazzo nel ritrarre un mio personaggio nudo. Non credo che il nudo dovrebbe essere in generale una fonte di imbarazzo. Posso esprimere imbarazzo e vergogna nei panni di Leopardi nell’atto iniziale poiché quello che lui prova è concreta vergogna e ripudio nel suo corpo, ma per quanto riguarda me nell’intimo, non ho alcuna vergogna. Io rappresento una figura, che mi sta a cuore, tutto qua. Non ho mai avuto problemi in tutta la mia vita a mettermi nudo con nessuno, non mi è mai importato granché.

C’è qualcosa di Lorenzo in questo Giacomo inibito e spudorato? Qual é il tuo rapporto con il corpo, e la nudità?

Mi è sempre piaciuto prendere le inibizioni e le regolamentazioni imposte dalla mia famiglia o da cosa avevo intorno e romperle, seppur non in maniera aggressiva. Tuttavia nei miei ultimi anni di vita per varie vicissitudini mi sono ritrovato, simile a Leopardi nell’ultimo atto, a rompere queste regole e affrontare queste situazioni in un atteggiamento molto provocatorio, alzando spesso la voce, un po’ da testa calda insomma. Inoltre ho spesso odiato in passato il mio corpo, e ciò che ritraggo in questo spettacolo racconta anche di questo vecchio lato di me, seppur ora io mi apprezzi decisamente di più. Come ho detto in precedenza per quanto riguarda la nudità, non mi è mai fregato niente. Se vedo qualcuno nudo non mi scandalizzo, e non mi scandalizzerò se qualcuno mi vedrà nudo, non mi è mai venuto da farlo comunque.

Cosa pensi del testo di Antonio Mocciola, e cosa ti ha convinto a interpretarlo?

 La grande opportunità, il grande amore che ho nei confronti della figura di Leopardi e il grande privilegio che questo ne consegue. Trovo il testo molto alternativo, ci viene proposto un Leopardi con una sessualità amplificata, rabbioso, intimo, passionale ma anche deplorevole talvolta a causa della vita che ha condotto. Trovo questa visione molto interessante e sono lusingato di potergli dare vita.

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