“Molto rumore per nulla” nell’allestimento singolare di Sepe

gallery_moltorumore2_01 Definire originale l’allestimento che fa Giancarlo Sepe del “Molto rumore per nulla”  di Shakespeare è sicuramente limitativo.

Si assiste ad una versione gitana dell’opera madre, non priva delle criticità ed  esagerazioni tipiche della firma di Sepe. Una messinscena plateale della scrittura  originale che ricade quasi nel grottesco di quella tragicità che contraddistingue il  testo shakespeariano.

L’approvazione del pubblico ed il suo coinvolgimento alla messinscena non  mancano. La popolazione Rom, che vuole rappresentare Sepe, emerge senza mezze  misure ed enfatizzando le peculiarità del loro modus vivendi, ricco dei fronzoli che  contraddistingue quella gente, compresa l’ostentazione di atteggiamenti “popolani”  e terminologie colorite.

Sepe esalta sì la magia del mondo gitano, colorato e vivace, ma dissacra quella che è la poesia della scrittura che ne fece Shakespeare. Emulatore di quella che fu l’innovazione che animò il teatro shakespeariano/elisabettiano, che vide infrangere consolidati tabù sociali, Giancarlo Sepe con la sua rilettura “sopra le righe” porta in scena l’autenticità della realtà (vuole riecheggiare forse il teatro nel teatro figlio di Shakespeare?): e così, ci si ritrova a cucinare una frittata con le cipolle in scena come si sarebbe fatto in un campo Rom.

Che Sepe voglia restituire un’immagine pulita e non violenta del popolo gitano emerge come un tentativo lodevole, ma perché manipolare un testo di tal fatta, che ben si presta, e scardinarlo dei suoi elementi di forza a tal punto da riconoscerne solo la trama? Giancarlo Sepe è famoso per questi azzardi, il suo stile si contraddistingue nell’alternanza sulla scena di dialetti, balli ed esagerata chiassosità.

molto-rumore-per-nulla-verona-25-770x472Punti di forza dell’intero spettacolo diventano le interpretazioni che ne danno dei propri personaggi Francesca Inaudi, straordinaria nelle vesti dell’implacabile Beatrice dall’animo tormentato, il superlativo Leandro Amato nei panni di Borraccio e, ultimo solo per citazione, Pino Tufillaro che impersona con forza e sentimento il vecchio Leonato, facendo fede all’esperienza teatrale che gli è propria.

Roma, teatro Eliseo, 21/01/2014

Alessia Coppola

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