“Lacrime artificiali”, le ipocrisie del sottobosco artistico
Svelate da Mocciola tra commozione e risate

 

“Le vostre sono lacrime di scena, lacrime artificiali”. Così il volgarissimo “impresario” Catello (Giorgio Gori) crede di offendere l’unica star del locale che gestisce, Joanna, al secolo Giovanni (Vittorio Brandi), da cui é inevitabilmente attratto “ma solo per sesso, giammai per amore”.

Di amore, in fondo, parla l’ultimo testo di Antonio Mocciola, “Lacrime artificiali”, al Teatro Bolivar di Napoli. Amore di un ingenuo spettatore, Oliviero (Armando Aubry) che crede (o finge di credere) che Joanna sia davvero una donna, sebbene dalle improbabili altezze. Ed è l’amore che spinge mamma Assunta (Daniela De Luca) a proteggere il figlio da probabili delusioni.

Sullo sfondo, l’accettazione dell’omosessualità che dilania tutto e tutti, e che si idiomizza in una frase, “voglio uscire”, con cui l’autore nasconde il più classico “coming out”.

Giorgio Gori dirige con mano sicura uno spettacolo scorrevole, divertente, emozionante ed elegante anche quando scivola nel “napulegno”, perchè le anime che descrive sono tutte molto complesse e le azioni tutt’altro che scontate. Al netto di qualche caduta di ritmo – nei momenti tra madre e figlio – regge anche l’aspetto comico, davvero “british” malgrado l’ambientazione proletaria. Il regista si concede un gustoso cameo, essenziale raccordo per comprendere cosa si cela dietro le quinte di ogni palcoscenico, prestigioso o sgangherato che sia.

Daniela De Luca gestisce con sapienza i cambi di registro del suo personaggio, sospeso tra una desolata rassegnazione e un bisogno di rinascita, mentre Armando Aubry è credibile e tenero nel rendere un personaggio tutt’altro che semplice, e che potrebbe sembrare monocorde a un occhio distratto.

Ma si resta davvero ammirati dalla poliedrica bravura di Vittorio Brandi, che torna a interpretare i testi di Antonio Mocciola (“Gli smarriti”, “La retorica delle puttane” diretto proprio da Gori) con un’adesione e una verità che non diventa mai inutile sfoggio di bravura. Nelle canzoni, nei momenti “camp” come in quelli truci, Joanna è sempre potente e credibile, e trova il suo acuto più elevato in un drammatico ed intenso monologo davvero indimenticabile, in cui la scrittura dolente e inquieta dell’autore trova una voce di rara e squisita intensità, come già fu nel thriller “Gli smarriti”, che avemmo modo di apprezzare qualche anno fa, e che regalava dell’attore immagini nude e raggelanti, vero marchio di fabbrica di Mocciola

Numerosi applausi a scena aperta hanno puntellato lo spettacolo, e di rado si vede un pubblico così coinvolto agli sviluppi narrativi di una vicenda, specie negli aspetti più sentimentali.

Le lacrime possono essere artificiali, ma gli applausi no. Questo spettacolo merita lunga vita.

Fabrizio Patera

 

 

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