Il Teatrosophia di Roma
toglie i veli alla nuova stagione

La sala è piena. Siedo ai lati perché non c’è più un posto libero. Vedo i vestiti sobri ma scelti con cura delle occasioni importanti e, ancor più, scorgo orgoglio e contentezza negli occhi di chi si prepara a presentare non tanto un cartellone di spettacoli quanto qualcosa di sé; molto di sé! E vedo metodo in questa necessità del fare, raziocinio in questa passione accecante, ovviamente amore in una folle corsa verso un ignoto sociale che, di anno in anno, diventa sempre più ignoto ma che – i teatranti ‘altri’ sono anime pure e li si ama proprio per questo – più le nebbie si levano sull’asfalto e più il piede preme sul pedale, spingendo il motore ai massimi giri.

Essere ‘off’, a dispetto di quelli che fanno i classici da trent’anni nei teatri che devono incassare i fondi pubblici e far funzionare il bar tra un atto e l’altro, è un concetto molto relativo che si tramuta in diamante allorquando vedi l’abilità di mettere insieme un cartellone che stupisce per varietà e qualità della proposta. È sudore, fatica, innumerevoli telefonate, soldi pochi, pochissimi. E, senza subire ricatti o baratti, anche questa volta Teatrosophia di Roma si appunta sul bavero la quinta stagione che ha presentato nei giorni scorsi, fiera di essere una delle poche realtà che, contando solo sulle proprie forze, sopporta il carico di una missione culturale che governi locali e nazionali (dimentichi e ignoranti) lasciano colpevolmente nel limbo della “libera iniziativa”.

Il teatro fatto così somiglia alla fatica che chiede la terra, zolle di vita che – aspre solo all’apparenza – si schiudono a frutti bellissimi e impensabili se solo le si avvicina con ascetica costanza e tanta umiltà, lontani da qualsiasi scorciatoia. Guido Lomoro, direttore artistico, si rifugia nel suo buen retiro d’Umbria appena gli è possibile e lì semina, irriga, pota, ripara, medita e vede crescere di anno in anno il suo progetto che ogni volta sa rendere più bello e perfettibile. Non è un caso che il suo motto prediletto sia “Il teatro è un atto d’amore” e, a scorrere il programma che parte il prossimo sei ottobre per concludersi il ventisei maggio, questi atti d’amore sono ben ventiquattro (più svariate iniziative collaterali).

Mentre nei vicoli di Roma qualcuno fa a pezzi una canzone (il Lucio Dalla de “La sera dei miracoli”, interpretato da Lorena Vetro e coreografato da Maria Concetta Borgese, ha aperto la presentazione alla stampa), in quegli stessi vicoli, qualcun altro lavora sodo per ricucire il rapporto tra cultura e città che oggi appare fragilissimo perché trascurato ed umiliato.

Per non far torto ad alcuno, meglio evitare di snocciolare nomi e date che nessuno ricorderebbe. Andate sul sito internet www.teatrosophia.it: lì c’è tutto. Meglio ancora: passate in Via della Vetrina, 7: sulla strada c’è una bacheca con il programma. Leggetelo e poi entrate, anche solo per scambiare quattro chiacchiere; dentro troverete chi ha sincera voglia di condividere i frutti di questa missione.

Francesco Giannotti

Share the Post:

Leggi anche