Giuseppe Brandi è un Verlaine nudo e crudo
“Raccontiamo la solitudine di un genio”

A un mese dal debutto al Piccolo Cts di Caserta, diretto da Angelo Bove, Giuseppe Brandi, interprete e regista di “Ero Verlaine”, ci racconta come ha costruito, dal testo di Antonio Mocciola, la controversa figura del poeta francese. Sulla scena, completamente nudo per tutto lo spettacolo, Brandi é pronto a descrivere la parabola discendente di Paul Verlaine, incarcerato per aver tentato di uccidere il suo grande amore, Arthur Rimbaud.

“Ero Verlaine” racconta uno scorcio della vita del grande poeta “maudit”, nel momento dell’incarcerazione per tentato omicidio nei confronti del compagno Rimbaud. Come ti sei approcciato a questo personaggio, a cui peraltro somigli moltissimo? 
Sicuramente con grandissima cura e rispetto. Stiamo parlando di un gigante della poesia dell’ottocento. 
Inoltre, un uomo che ha immolato la propria vita coniugale in nome dell’amore provato per il giovane Rimbaud.
Il tuo essere musicista, oltre che attore e regista, condiziona il tuo modo di recitare e di dirigere?
La musica è una grande alleata. Mi aiuta di certo a capire quella che è la partitura ritmica di un testo. E in più regala preziose suggestioni nella “visione registica”.

In scena sei da solo, completamente nudo per tutto lo spettacolo. Di fronte a te, la presenza e l’attenzione di tanta gente che chiede al tuo corpo, alla tua voce, di raccontare una storia, senza nessun tipo di orpello, di scena, o di effetti speciali. Hai già affrontato brevissime scene di nudo in “Colpo di grazia” e “Dispacci da Mosca”, ma questa volta sei da solo, e per tutto il tempo, esposto al pubblico. Cosa ti spinge ad affrontare questa sfida, in cui l’intenzione, il gesto, acquisisce una fragilità, un’emotività più viva, più cruda? Come la vivi? Secondo te c’é ancora pregiudizio in Italia nei confronti del nudo, specie maschile, al cinema o in teatro?

Credo sia dovere di un artista in generale, provare l’ebrezza di lanciarsi nel vuoto. Io, che non ho mai avuto un ottimo rapporto col mio corpo, sarà un’ulteriore sfida verso me stesso. Viviamo in una società con un’ossessione quasi malata, per i corpi. Tant’è, che subiamo un bombardamento costante. L’intento del nudo in questo spettacolo, è quello di corroborare una drammaturgia che punta il suo focus su un sopruso subito da un uomo, che aveva scelto di essere libero in un’epoca, purtroppo, ancora troppo chiusa.

Pensando al panorama letterario e artistico attuale, chi sono – secondo te – gli eredi dei poeti maledetti? Oggi come oggi, un nuovo Verlaine troverebbe spazio e ascolto?

Purtroppo la poesia nel corso dei decenni, è stata schiacciata via via da altre forme di comunicazione (musica, TV, cinema), si è di sicuro trasformata; ma è lungi dal morire. Penso che specifiche condizioni di vita, creino la poetica di un artista. Pensando ai poeti maledetti, il pensiero corre subito ai monumenti della musica rock anni 60/70.
Ma anche i poeti della Beat Generation come Ginsberg, Steinbeck, per stile di vita, e per contenuti: si avvicinano ai poeti dell’ottocento.

E’ la seconda volta che affronti un monologo, ma nel precedente lavoro, “I contadini non cantano”, avevi con te l’amata chitarra. Questa volta non hai nulla, se non la tua voce e il tuo corpo. Nel contesto del tuo percorso artistico, come si pone questo spettacolo, così diverso dal consueto? E come pensi che verrà accolto?

La chitarra, anche negli spettacoli musicali, offre protezione, certo. In questo caso dovrò fare da solo, ma sono pronto. Affrontare questo nuovo testo, solo, e completamente nudo, sarà di sicuro un motivo di crescita artistica e umana.
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