Il primo romanzo di Nicolai Lilin “Educazione siberiana” è uscito edito dall’Einaudi nel 2009 ed è subito diventato un best-seller, così come il suo autore in poco tempo ha raggiunto una grande fama. Ma, come spesso accade, la notorietà ha portato con sé anche il gusto del gossip. Non solo la storia del libro, ma la vicenda privata del suo autore ha destato la curiosità dei lettori. Molte le “storie” che sono state raccontate sull’autore russo, il quale non ha mai negato di essere realmente cresciuto all’interno della comunità di Fiume Basso di cui narra, ma non per questo significa che tutti gli episodi del suo libro siano realmente accaduti. Gli appartenenti a questo gruppo di “urka” siberiani si definivano “criminali onesti” (il termine “urka” in russo significa appunto criminale), abitavano in Transnistria e vivevano “indipendentemente” dal governo dell’Unione Sovietica, di cui non riconoscevano il potere. Intervistato, Nicolai Lilin ha sottolineato quanto sia un atteggiamento tipicamente italiano quello di cercare lo “scoop” a ogni costo. E mentre la sua opera è nata a nuova vita come film (con la regia di Gabriele Salvatores) e come spettacolo teatrale (per la regia di Giuseppe Miale di Mauro), parlando con lui abbiamo cercato anche di sbugiardare alcune delle “voci” infondate che circolano sul suo conto.
La prima “voce” riguarda proprio il confine tra realtà e finzione all’interno del tuo romanzo. Quando un libro è completamente o in parte fondato su una storia vera tende a destare maggiore curiosità e stupore, ancor più quando racconta realtà molto lontane e spesso sconosciute. Non sono mancati coloro che hanno cercato di negare “le verità” presenti nel tuo libro…
Nicolai: Purtroppo quando chi scrive il libro diventa famoso ci sono persone che cercano di creare piccoli scandali intorno a lui. È una cosa che succede spesso in Italia. Il romanzo è una narrazione letteraria che può essere basata o meno su esperienze vissute. Io ho scritto un romanzo, non un saggio storico, anche se ho fatto riferimento a un momento epocale della storia. Non è facile, e neanche opportuno, cercare di distinguere la realtà dal romanzo. Chi cerca di esaltare o di negare la verità del mio libro è comunque un “maleducato”. Sta a me scrittore affermare se quello che ho scritto è fondato sull’esperienza vissuta o meno. Io sono stato onesto nel dichiarare che ho basato il mio libro su storie vere, ma è pur sempre un romanzo.
Una seconda “voce” nata intorno al tuo romanzo è che tu ne abbia “vietato” la traduzione in russo. Il romanzo, infatti, è già stato tradotto in 14 lingue e i diritti sono stati venduti a 18 altri paesi del mondo, ma in Russia ancora non è arrivato…
Nicolai: Anche questo non è vero. Non c’è stata nessuna scelta da parte mia, tra l’altro per dieci anni i diritti appartengono alla casa editrice e io non avrei potuto farlo, neanche se avessi voluto. Comunque non è vero. Il libro è stato venduto in tanti paesi del mondo, tra cui c’era anche la Russia: sono stati i russi a non acquistarlo. Avevamo preso contatto con ben due case editrici russe, ma il loro obiettivo era diverso dal mio. Loro volevano presentare il mio libro come un romanzo “realistico”, come una denuncia alla criminalità. Ma chi lo ha letto con attenzione sa che non sono queste le mie intenzioni. La criminalità per me non è il tema più importante, io parlo di tante altre cose. Se fosse stato diversamente avrei scritto un libro di criminologia! Alla fine, quindi, non ho accettato la loro “proposta di marketing”, ma se trovassi un altro editore sarei ben contento di pubblicare il mio romanzo in Russia.
Scrivere è spesso un atto di necessità, un bisogno che spinge l’autore a raccontare qualcosa o a raccontarsi. Qual è stato il tuo primo impulso a scrivere?
Nicolai: In verità il primo impulso a scrivere è stato quasi per scherzo, non sentivo alcuna necessità, non avevo problemi, nessuno scheletro nell’armadio di cui volevo liberarmi. Tutto è iniziato quando nel 2005, per motivi di lavoro, mi sono avvicinato al teatro e ho cominciato a collaborare con alcuni drammaturghi. Con loro ho scoperto che ciò che scrivevo aveva valore per chi mi leggeva. Sono stati loro a incitarmi a scrivere, a stimolare il mio approccio alla letteratura. E sono stati sempre loro a darmi una mano per mettermi in contatto con gli editori, finché non ho stipulato un contratto con la casa editrice.
Hai detto che nel tuo romanzo non è la criminalità la cosa più importante, che hai voluto parlare di tante altre cose. Quali?
Nicolai: Nel mio libro racconto tante cose come la caduta di un vecchio mondo e l’arrivo di uno nuovo. Mi interessano soprattutto le storie umane, l’amore, l’amicizia, anche la violenza. Non mi interessa la criminalità in sé. Purtroppo in Italia c’è questa abitudine a cercare sempre i confronti. Mi hanno spesso paragonato a Roberto Saviano, ma non è la stessa cosa. È “comodo” accomunare le cose. In Italia tutto deve essere uguale a qualcosa di più grande e importante, è la legge del conformismo: nel mondo consumistico vendere idee diverse è difficile, c’è bisogno di fondarle su un sottosuolo di base uguale ad altri.
“Educazione siberiana” ha subito una doppia trasposizione, cinematografica e teatrale. Nel passaggio da un media all’altro è necessaria qualche modifica per una migliore riuscita artistica. In entrambi i casi come ti sei rapportato di fronte al lavoro sul testo operato da altri?
Nicolai: Sia con Salvatores che con Miale di Mauro ho lavorato sul testo per volere di entrambe le parti. Io ho espresso la mia volontà di collaborare perché è un romanzo difficile e sicuramente non era facile rappresentarne lo spirito e la morale. Sia chi ha scritto la sceneggiatura cinematografica che chi ha elaborato il testo teatrale ha dimostrato la sua capacità di avvicinarsi a questa realtà che descrivo nel libro e ha voluto la mia collaborazione per comprenderne a pieno tutti gli aspetti. Non potevano creare un testo basato solo sul libro perché, pur essendo molto espressivo a livello letterario, non sarebbe stato lo stesso usando diversi linguaggi. Vale soprattutto per quello teatrale, che è più difficile: ci si rende conto che mancano alcuni elementi ed emerge la necessità di capire cosa c’è dietro a certe scene, a certe frasi. Per quanto mi riguarda ritengo che debba esserci uno scambio reciproco e che bisogna evitare “l’arroganza da scrittore”. Anzi, sono io che ho cercato di apprendere il linguaggio che cambiava nelle diverse vie di comunicazione, lo scopo era di creare un’opera insieme. L’intervento di Giuseppe Miale Di Mauro è stato fondamentale per me, lui mi ha insegnato come si scrive per il teatro, che è totalmente diverso da come si scrive un libro. È stata un’esperienza magica.
Da libro a film a spettacolo teatrale, cosa pensi che abbia guadagnato il tuo libro da queste esperienze?
Nicolai: Cinema e teatro sono due vie di comunicazione diverse: l’opera letteraria guadagna molto. Guadagna più visibilità, per esempio, perché ha la possibilità di arrivare a un pubblico diverso da quello del romanzo. In questo senso il film ha contribuito molto alla distribuzione del libro: dopo quattro anni dalla pubblicazione è tornato di nuovo primo in classifica. Devo dire che sono stato fortunato: non solo “Educazione siberiana” è un libro che continuo a vendere, ma dopo un po’ di tempo è salito nuovamente nei primi posti in classifica. Il passaggio al cinema e al teatro ha aiutato anche me come scrittore, non solo perché mi sono messo nuovamente in gioco nel dover raccontare la trama attraverso altri linguaggi, ma soprattutto mi ha aiutato a capire quello che ho scritto. Uno scrittore non si rende bene conto di quello che scrive. È come un bambino, dopo che lo hai generato, che gli hai dato la vita, lui cresce e tu lo conosci piano piano. Non sapevo a chi sarebbe potuto piacere, che pubblico lo avrebbe acquistato… Attraverso il film e lo spettacolo teatrale è stato tutto più chiaro, perché hanno entrambi un meccanismo più diretto, secco. È come una fucilata: arriva subito. E capisci tante cose più in fretta. Con il libro ho avuto modo di confrontarmi con i lettori, ma non sempre ho capito tutti i passaggi. Invece nel film e nello spettacolo tutto è concentrato in un’ora e mezza e riesci a percepire cosa la gente pensa sia in merito a ogni passaggio che sulla totalità del lavoro.
E cosa, invece, pensi che abbia perso?
Nicolai: Non si perde niente. Il libro ha uno sguardo più ampio, permette di esprimere molte cose. Nel film e nello spettacolo le sensazioni e i pensieri rimangono gli stessi, arrivano solo in modo diverso. Quando è così non si perde niente. Nel trasformare un romanzo in un film o in uno spettacolo l’importante è non creare suggerimenti sbagliati, la morale non deve essere stravolta. Per il resto è giusto che certe cose cambino. Per esempio nello spettacolo con Giuseppe Miale di Mauro abbiamo dovuto scrivere una storia più lineare, non tutti i protagonisti sono presenti nel libro e viceversa. Ma la morale, l’etica si rispecchiano precisamente. Inoltre sono contento dell’impatto che lo spettacolo ha avuto sul pubblico, molti mi hanno scritto dicendo di aver ritrovato le stesse idee del libro. È piaciuto molto.
Il testo teatrale è stato scritto praticamente a quattro mani da te e Giuseppe Miale di Mauro, ma sappiamo che molto ricca è stata anche la tua partecipazione alle prove dello spettacolo. Hai lavorato anche con gli attori, in che modo?
Nicolai: Sì, è vero. Ho partecipato alle prove e ho lavorato anche con gli attori. Infatti per me è stato bello vedere lo spettacolo completo, ma non è stata una sorpresa perché lo conoscevo già. Con gli attori ho fatto soprattutto un lavoro approfondito sulla creazione dei personaggi, abbiamo cercato di dar vita ad alcuni clichè che io avevo definito nel libro. Certo è stato necessario creare personaggi “raccolti”, che concentravano in sé più aspetti che io avevo attribuito a molti più personaggi presenti nel libro. Abbiamo anche, per esempio, lavorato sul modo di parlare (alcune frasi vengono pronunciate direttamente in russo) o sul comportamento da assumere. In questo senso, per esempio, è stato importante dare loro indicazioni su come maneggiare il coltello a scatto (la picca): è come suonare uno strumento musicale; è sottile, flessibile, ma anche potente, c’è da farsi male, in un attimo ti potresti anche tagliare le dita. È stato necessario perché in scena gli attori hanno dovuto usare coltelli veri, non abbiamo trovato alcun “sostituto”. Allora io ho insegnato loro a usarli con prudenza e precisione. Infine ho collaborato anche alle scelte sulla scenografia e sui movimenti, per rendere tutto il più realista possibile: oltre alla costruzione dell’“angolo rosso”, ho dato loro indicazioni anche sul modo di stare seduti a tavola, sul come bere gli alcolici… diversi aspetti particolari che fanno parte di una determinata tradizione.
Sono stati Francesco Di Leva e Adriano Pantaleo, due attori dello spettacolo teatrale, a contattarti per ricevere i diritti. Come è stato il vostro approccio, cosa ti ha convinto a darli a loro e non ad altri?
Nicolai: Di solito quando devo collaborare con qualcuno non guardo alla grandezza del nome, non guardo a se è famoso o al suo portfolio. Guardo se è capace e se è simpatico, se tra noi si sviluppa una cerca intesa. Ed è stato così con Francesco Di Leva e Adriano Pantaleo: inizialmente li ho conosciuti, ci siamo visti più volte e ho capito che erano ragazzi in gamba, ho avuto una sensazione positiva “a pelle”. Ed è stato lo stesso per il film. Ho avuto molte proposte, anche più importanti di Salvatores, e magari avrei potuto guadagnare più soldi, ma avrebbero sicuramente stravolto il mio libro, lo avrebbero trasformato in uno splatter pieno di sangue e criminali russi. Ho preferito una persona sensibile, con cui poter lavorare anche di persona (fondamentale il fatto che Salvatores era a Milano, vicino a me).
Lo spettacolo teatrale “Educazione siberiana” ha debuttato il 26 febbraio 2013 a Torino presso lo spazio Cavallerizza Maneggio del Teatro Stabile per la regia di Giuseppe Miale di Mauro e ha replicato al Teatro Fabbricone di Prato (sala del Teatro Metastasio). Da gennaio 2014 inizierà la tournée: principali tappe Roma, Milano, Napoli, Modena. In scena Luigi Diberti (nel ruolo del “vecchio”), Elsa Bossi (la madre), Francesco Di Leva, Adriano Pantaleo, Giuseppe Gaudino (i “giovani”), Stefano Meglio (il “voluto da Dio”), Ivan Castiglione e Andrea Vellotti (gli sbirri). Qualche parola da aggiungere su questa Compagnia e sul loro lavoro?
Nicolai: Sono molto contento di aver lavorato con questa Compagnia. Il loro lavoro vale ancora di più in questo momento di crisi e difficoltà, non solo economica, ma soprattutto culturale, etica, morale, in cui prevale l’individualismo e il consumismo a scapito della solidarietà. Spero di collaborare ancora con loro per altri progetti. Sono la buona parte del futuro dell’Italia, hanno il coraggio di metterci la faccia. Inoltre sono persone che lavorano sodo, senza pregiudizi e con una certa curiosità. Vogliono conoscere quello che non gli è noto e vogliono rappresentarlo. Hanno un grande coraggio artistico e sono sicuro che il loro lavoro avrà successo.
Mariagiovanna Grifi