“I pilastri della società”: la vittoria della menzogna

I PILASTI DELLA SOCIETA' regia di Gabriele Lavia .02 - foto di Tommaso Le PeraQuanto sono paradossali gli esseri umani: pronti a puntare il dito e giudicare tutti, ma capaci di dimenticare i crimini più atroci per pura convenienza. Il secolo scorso ne ha fin troppi di esempi in questo senso, ma non sembra che gli uomini abbiano imparato dal passato dato che questo atteggiamento è ancora parecchio diffuso. Quest’anno si festeggia il cinquecentenario di un trattato che è stato associato – a torto o a ragione –al principio secondo il quale “il fine giustifica i mezzi”: Il Principe di Niccolò Machiavelli (1513). Sembra che Henrik Ibsen nel testo I pilastri della società tenga conto proprio di questa legge sociale approvata e sottaciuta, una legge che non si preoccupa di andare contro la morale. È così che gli abitanti di una piccola città decidono di accettare le malefatte del console Bernick, confessate solo dopo molti anni di governo, pur di ricevere da lui il mantenimento dell’ordine sociale a cui sono abituati.

Dopo i due anni appena trascorsi in cui la nuova Fondazione Teatro della Pergola ha dovuto affrontare non pochi problemi e notevoli cambiamenti, fa piacere trovare la sala quasi piena al debutto della nuova stagione, dedicata ad Alfonso Spadoni, storico direttore del teatro (morto esattamente venti anni fa). Il cartellone parte con lo spettacolo di Gabriele Lavia, nel doppio ruolo di regista e interprete, coprodotto da Teatro di Roma, Pergola e Stabile di Torino. Si tratta dell’opera ibseniana che da avvio alla fase di critica sociale dell’autore norvegese, la cui attualità è pressoché disarmante. I temi maggiormente affrontati sono la corruzione politica, il conformismo e l’aspirazione alla libertà. La società delineata da Ibsen è fondata, infatti, sull’apparenza e sulla menzogna e ruota intorno alla figura “onesta” e rispettata del console Bernick (Gabriele Lavia) accompagnato dalla moglie Betty (Giorgia Salari).

Nel contrasto tra vecchio e nuovo si afferma con forza una classe dirigente (rappresentata dal professor Rorlund, interpretato da Andrea Macaluso) ancora ferma su posizioni conservatrici e moraliste, introdotte con sagace ironia dalle prime battute del coro di donne che narra di quando in città c’era l’“indecente” abitudine di far festa e di dare spazio alle arti, tra cui la più marcia era senza dubbio l’arte scenica. Proprio collegato al teatro è il famoso “accadimento”, scandalo che ha lasciato una macchia indelebile nella vita del fratello di Betty, Johan (Graziano Piazza), il quale ha scelto di scappare in America con la sorellastra Lona (interpretata dalla brava Federica Di Martino), anche lei immischiata in una losca faccenda. In realtà nessuno sa che coinvolto in prima persona in entrambi i fatti è proprio il console Bernick, il quale ha tratto pieno vantaggio dall’aver nascosto a tutti la verità. È il ritorno dei due emigrati a incrinare l’equilibrio perfetto raggiunto dalla famiglia, non solo perché sono gli unici a conoscere la realtà dei fatti, ma anche perché sono portatori di un ideale di libertà e modernità ancora non accettato nella loro piccola cittadina. Sono loro a opporsi alla società che pone le sue fondamenta su falsi idoli (i pilastri), tra cui il professore proprio il console dal passato oscuro. Sembra sia giunto il tempo di cambiare, il tempo di sostituire la verità alla menzogna. E invece l’ipocrisia vince su tutto. La società non è pronta per il progresso.

La regia di Lavia è impeccabile, con azioni sceniche corali precise e suggestive in una scenografia maestosa, che divide lo spazio scenico sui due piani di un ricco salotto borghese. Gli eventi sono accompagnati dall’alternanza luce/buio che sottolinea l’atmosfera di un’ambiente sociale lugubre e a tratti inquietante. Per quanto riguarda l’interpretazione, invece, Lavia resta (come i personaggi del testo ibseniano) un “conservatore”: le sue lunghe tirate (sebbene ridotte rispetto agli anni passati) e la recitazione compiacente non rendono giustizia alla sua competenza. Aveva dimostrato di saper fare un passo in avanti, rispetto al modello teatrale del secolo scorso, nello spettacolo pirandelliano Tutto per bene (prima nazionale in apertura della stagione 2012/2013 della Pergola) in cui era stato davvero emozionante e intenso. Lì aveva rinunciato a orpelli e declamazioni, ponendosi in mezzo agli altri attori senza prevalere. In questo nuovo allestimento, invece, sembra riaffacciarsi il vecchio stile.

 

Mariagiovanna Grifi

 

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