“Icone gay nell’Arte”, Vincenzo Patanè
tra marinai, angeli e dei

“Icone Gay nell’Arte”, per i tipi di De Luca Editori d’Arte, è l’ultimo libro di Vincenzo Patanè, critico cinematografico e giornalista. Prendendo in esame 100 opere dell’Arte Occidentale, l’autore tira fuori dal cilindro un’opera dotta e allo stesso tempo godibilissima destinata a diventare una voce autorevole nella bibliografia a tematica omosessuale.

Da attivista intelligente, Patanè sa raccontare, tra le righe, anche l’evoluzione del costume omosessuale, tra osservazioni prettamente tecniche sulle opere e brevi, ma avvincenti, squarci biografici sulle vite degli artisti in esame, ben pochi “dichiarati”, ma con un repertorio inequivocabile.

Partendo addirittura dall’Antico Egitto (2400 ca. a.C), il viaggio arriva fino al 2005, con Pierre & Gilles. Da Avril a Bacon, da Botticelli al Bronzino, da Canova a Caravaggio, e ancora Géricault, Michelangelo, Pontormo, Rodin, Rosso Fiorentino, Rubens, Signorelli, Sodoma, Warhol… un caleidoscopio di colori, stili, emozioni spesso indicibili sfogate attraverso l’arte, perché i tempi non consentivano alcun tipo di pride, e allora artisti e committenti sublimavano a modo loro. I primi creando, i secondi comprando. Emerge così un universo emozionante, persino commovente, che aiutano a leggere le opere (alcune molto note) con uno sguardo decisamente più completo ed esauriente, quello dell’autore. Patanè ha penna vivace e cordiale, che sa avvincere e coinvolgere senza rinunciare ad esporre dettagli squisitamente tecnici, riuscendo nell’impresa di confezionare un libro capace di affascinare sia chi mastica l’arte, chi invece si accontenta di conoscere “come eravamo” in tempi tremendissimi (che qualcuno rimpiange, provando ad attualizzare).

Se spesso si abusa del termine “icona gay”, attribuito con generosità a qualunque sgallettata si dica favorevole “alla felicità di tutti” (e grazie tante), qui trova appropriata collocazione. Molte delle opere trattate sono state effettivamente iconizzate dagli omosessuali dell’epoca come figure di culto, a cui fare riferimento anche nella vita “parallela” che molti conducevano. Ed ecco dunque i classici marinai, angeli e dei, l’inevitabile San Sebastiano, chicche deliziose (l’Adamo di Zahrtmann, i disegni quasi pornografici di Cocteau e dell’insospettabile Ejzenstein (si, quello della corazzata Potemkin), i bronzi di Donatello e di Gemito, le inquietudini spericolate di Caravaggio, i bagni termali, le palestre, i ginnasi. Purché l’uomo sia nudo, a volte velato, a volte esposto, o anche torturato, provocatorio, innocente. Uomini iconizzati per lo sguardo goloso di altri uomini: pare evidente che i destinatari di queste opere siano per forza maschi, tanto smaccati appaiono i richiami omo-erotici degli stessi. E già s’immaginano le ansie eccitate di papi, vescovi e cardinali, attendendo a casa le opere commissionate, magari per goderne in privato. Li si vede ancora lì, fermi alla finestra, a scrutare l’arrivo del rider dell’epoca, magari proveniente da altri stati, e in viaggio da giorni. Attese lunghe e dunque preziose. Altro che Amazon.

Antonio Mocciola

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