Virgilio brucia nella suggestione del pubblico

Da un’osservazione superficiale dell’itinerario artistico di Anagoor, piccola ma ormai affermata compagnia di Castelfranco Veneto, sembrerebbe evidenziarsi una contraddizione fra l’interesse per la ricerca e l’innovazione – proposta in un territorio ove il teatro è principalmente diffuso nelle sue forme più tradizionali – e una evidente inclinazione verso il mondo classico.

Contraddizione solo apparente. È vero che i loro primi lavori, che risalgono al 2001, muovevano dai testi della classicità greca; che uno dei loro spettacoli più singolari e fascinosi recava, come titolo, una radice sanscrita (*jeug); ma è altrettanto vero che, fin dai primordi, Anagoor opera suggestive commistioni di linguaggi espressivi, coniugando il registro verbale con l’attenzione all’elemento iconico e figurativo, al canto, al video, alla parola esaltata nella sua pura sonorità.Anagoor-Virgilio-Brucia-photo-Dietrich-Steinmetz-2

Elementi, questi, già individuabili in Lingua Imperii, del 2012, e che si ritrovano, ulteriormente elaborati, nella loro ultima creazione, Virgilio brucia, approdata pochi giorni fa al Piccolo Teatro di Milano.

Lo spettacolo, articolato secondo una scansione che si rifà alla tragedia classica, è costruito intrecciando canto corale, azione mimica, proiezioni video. Il titolo si riferisce all’incendio di Troia, ma allude anche al desiderio, espresso da Virgilio sul letto di morte e disatteso da Augusto, di bruciare i rotoli della sua incompiuta Eneide.

L’elemento più ardito ed originale del lavoro è costituito dalla declamazione, pressoché integrale, in latino, del secondo libro del poema. Ma tutto ciò che precede si direbbe una sorta di introduzione, di preparazione a quel momento: un percorso quasi didascalico, a volte sibillino, ma orchestrato con cura meticolosa, in un crescendo di intensità e di coinvolgimento emotivo.

In apertura si evoca la morte di Virgilio, ripresa dall’opera di Herfmann Broch, che la narratrice, Gayanée Movsisyan, racconta in lingua armena, col contrappunto di canti balcanici. Poi, in video, un giovane insegnante, Marco Cavalcoli, espone a una classe di adolescenti, attenti e partecipi, alcune riflessioni sul rapporto fra la poesia e il potere, fra la cultura classica e la contemporaneità. E, ancora in lingua originale, Gloria Lindeman enumera i fascinosi, apparentemente incongrui, Consigli a un giovane scrittore, di un grande narratore serbo con radici ebraiche, ungheresi e montenegrine. poco frequentato in Italia: Danilo Kiš.

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In questo modo lo spettatore, che può leggere la versione italiana dei testi su uno schermo che è parte integrante dell’assetto scenico, prende familiarità con registri comunicativi ove la suggestione sonora della parola prevale sul significato.

L’esplorazione delle prime opere virgiliane, le Ecloghe e le Georgiche, si compie con lente, corali liturgie agresti. E qui subentra un’altra spiazzante invenzione registica e drammaturgica. La restituzione del sesto libro, quello della discesa all’Ade, avviene per via obliqua, allusiva, con una lunga sequenza video che costituisce, in apparenza, un omaggio alla forza vitale della natura: il parto di una cucciolata di maialini; uova che si schiudono col paziente picchiettare dei pulcini, ancora prigionieri del guscio. Ma queste visioni virano presto nelle immagini, inquietanti nella loro fredda, meccanica brutalità, di allevamenti in batteria, di mungiture industriali, di un mondo ove quei sofisticati, sterili meccanismi trasmettono un cupo sentore di morte.

Quando, alla fine, irrompe nello spettacolo il testo virgiliano, affidato al porgere appassionato di Marco Menegoni, che interpreta il poeta al cospetto di una ieratica corte di Augusto, lo spettatore non si stupisce di sentir risuonare i versi latini nella pronuncia classica, con le “c” e le “g” sempre dure, i dittonghi “ae” e “oe” dispiegati, l’accentazione della metrica quantitativa (più vicina al rap che al verso sillabico). Sonorità arcaiche, quasi aliene, ma dal cui fascino, dopo i primi minuti di sconcerto, ci si lascia cullare e catturare, mentre sullo schermo scorre una traduzione moderna del poema. E al sofferto racconto dell’incendio e della distruzione di Troia sembra confondersi con la cronaca di ciò che sta succedendo oggi, non lontano dalle coste del Mare Nostrum.

Con Virgilio brucia, Anagoor ha compiuto un ulteriore passo lungo il loro coraggioso, personale, minuzioso, paziente itinerario di ricerca. Una scelta che, a primo sguardo, potrebbe apparire intellettualistica, ostica, ma i cui risultati sono stati invece premiati accolti dal pubblico, anche e specialmente dai giovani che, nelle serate milanesi, hanno affollato il teatro.

Un indizio consolante. Forse, i guai prodotti da un ventennale, sistematico smantellamento della cultura, specie di quella classica, non sono irreversibili.

Con: Marco Menegoni, Gayanée Movsisyan, Massimiliano Briarava,Moreno Callegari, Marta Kolega, Gloria Lindeman, Aglaia Zannetti, Monica Tonietto, Artemio Tosello, Emanuela Guizzon, e con la partecipazione straordinaria di Marco Cavalcoli

Regia di Simone Derai.

Drammaturgia di Simone Derai e Patrizia Vercesi

Costumi di Serena Bussolaro e Simone Derai

Scene di Simone Derai e Luisa Fabris

Musiche di Mauro Martinuz

Video di Simone Derai e e Giulio Favotto.

Testi ispirati dalle opere di: Publio Virgilio Marone, Hermann Broch, Emmanuel Carrère, Danilo Kiš, Alessandro Barchiesi, Alessandro Fo, Joyce Carol Oates

Traduzione e consulenza linguistica di Patrizia Vercesi

Produzione Anagoor 2014, in coproduzione con Festival delle Colline Torinesi, Centrale Fies, Operaestate Festival Veneto, University of Zagreb-Student Centre in Zagreb-Culture of Change.

Claudio Facchinelli

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