Teatro a Corte. In Piemonte le architetture barocche si sposano con le drammarturgie non verbali

Dorner
“Dorner” photo by Domenico Conte

La corte sabauda non si è mai caratterizzata per raffinatezza, ma alle sue dimore (il Castello di Rivoli, il Castello di Racconigi, Palazzo Madama, Palazzo Carignano) avevano lavorato i più valenti architetti del tempo, come Guarino Guarini o i Castellamonte. Poi, alla compassata, severa eleganza delle facciate in cotto tipiche del barocco piemontese, il siciliano Filippo Juvarra aveva saputo aggiungere elementi di luminosità mediterranea, come nella splendida, abbagliante galleria della Venaria Reale, o nell’elegante Palazzina di caccia di Stupinigi.

L’idea portante del Festival Teatro a Corte, nato nel 2007, consiste nel coniugare lo spettacolo dal vivo con quelle architetture. Ma ciò che meglio qualifica il progetto artistico di Beppe Navello (realizzato con la consulenza di Mara Serina e Sylvie Cavacciuti ) è la sfida che tende a superare il semplice utilizzo di un contenitore suggestivo nel quale si svolga uno spettacolo, e a creare invece situazioni ove le due realtà, statica l’una, dinamica l’altra, entrino in un rapporto dialettico, che le esalti e valorizzi scambievolmente.

Limitandomi a quanto visto nel primo dei due corposi fine settimana in cui si è articolata questa edizione del festival (svoltosi dal 7 al 17 luglio), l’esempio più significativo di questa scelta è stata la Promenade au chateau, di Ambra Senatore. A piedi nudi, con un sobrio abitino di taglio moderno, accompagnata da tre danzatori, ha guidato con eleganza e umorismo un piccolo sciame di visitatori, coinvolgendone alcuni nel gioco performativo, lungo i fascinosi spazi della Venaria Reale, ammiccando ai nobili ritratti, ai gruppi scultorei, dei quali riproduceva le pompose, solenni posture, creando uno spiritoso corto circuito fra classico e contemporaneo.

"Martini" photo by Domenico Conte
“Martini” photo by Domenico Conte

Ma anche le installazioni della Palazzina di Stupinigi stabilivano un rapporto non casuale col contesto architettonico e paesistico. La mostra interattiva Delle sedie e delle fiabe era costituita da un percorso lungo il labirinto dei giardini all’italiana, guidato da voci e suoni, creati da Luca De Marinis e udibili in cuffia, che amplificavano le suggestioni offerte dalle fantasiose, tenerissime invenzioni di Marco Muzzolon: sedie di ogni dimensione e fattura, “sparpagliate come parole e foglie al vento”, ognuna ispirata a una favola famosa; per tutte, da citare la sedia senza una gamba del soldatino di piombo. Poco distante, l’Etoile, un’ardita, imponente creazione di scultura contemporanea, intreccio di complesse strutture di tubi e tiranti d’acciaio. Con incredibile disinvoltura, sui fili tesi della struttura, i francesi Les Colporteurs hanno rappresentato due azioni senza parole. Evohé è il drammatico incontro di Arianna, abbandonata da Teseo sull’isola di Naxos, con Bacco; Le chas du violon è invece una irresistibile farsa pasticciona, che ricorda le deliziose, silenti gag di Buster Keaton. E ancora, la Quadrisse, un alto, precario traliccio dal quale pendono quattro corde, alle quali si abbarbica spericolatamente una coppia di giovani acrobate danzatrici, Pauline Barboux e Jeanne Ragu, allacciate come sorelle siamesi. Anche in queste esibizioni, lo spettatore vede stagliarsi quelle figure ardite contro le nuvole bianche e grigie, contro il cielo striato di rosso del tramonto, o addirittura in congiunzione con l’ardito profilo del cervo di bronzo che svetta sulla cupola della palazzina.

"Barbou" photo by Domenico Conte
“Barbou” photo by Domenico Conte

Si direbbe che la fascinosa rilevanza dei contorni architettonici e paesistici abbia indirizzato le scelte artistiche verso forme di spettacolo prevalentemente non verbali: la danza, il mimo, l’arte circense, come si volesse consentire allo spettatore di cogliere appieno, senza l’interferenza della parola, il suggestivo connubio fra il contenitore e il contenuto.

Il rapporto fra performer e contesto risultava ancor più stretto, quasi esasperato, nel singolare progetto dell’austriaco Willy Dorner, che aveva incastrato e ammucchiato corpi viventi, immobili e silenziosi, negli spazi e nelle posizioni più improbabili lungo il parco della villa “La Tesoriera” e sulle facciate di alcune case limitrofe: biforcazioni di alberi, cespugli, reticolati, segnali stradali, finestrini dal disegno barocco, balaustre di balconi.

Eppure, in questa sostanziale eclisse della parola, gli spettacoli raccontano quasi sempre delle storie, dipingevano caratteri. In Arc, di Ockham’s Razor (unico lavoro proposto, nel primo fine settimana, al teatro Astra di Torino), su una sorta di Zattera della Medusa, un pesante telaio basculante in tubi di acciaio sospeso a oltre tre metri di altezza, si dipanano rapporti di seduzione, di complicità e di lotta per la sopravvivenza; a seguire, del medesimo gruppo, Every Action, che utilizza in un registro comico una spessa fune di canapa.

Anche con As the world tipped, di Wired Aerial Theatre, visto in notturna nel parco della Venaria, dopo un prologo iniziale multilingue, lo strumento coreutico e mimico della danza verticale riesce ad esprimere un messaggio inquietante sul deprecato ma ormai irrefrenabile disastro ambientale del pianeta.

Ad Aglié, un omaggio a Guido Gozzano, con il racconto di alcune sue fiabe, con intermezzi musicali e coreutici orientaleggianti, e una visita alla villa “Il Meleto”, zeppa delle “buone cose di pessimo gusto”, care al poeta. Quindi, un’esplorazione del castello, guidata da due danzatrici catalane, e una sorprendente esibizione mimico-coreutica, dal titolo Occhio di bue, del giovane piemontese Andrea Costanzo Martini, nel minuscolo teatrino di corte.

"Arc" photo by Nik Mackey
“Arc” photo by Nik Mackey

Da citare, infine, Picasso parade. Il progetto di Nicola Fano, che ha aperto il festival a Palazzo Madama, è un affettuoso omaggio all’artista ispirato all’opera I saltimbanchi, del periodo rosa, riproposta attraverso tableau vivent, momenti coreutici e di giocoleria. La parola di una narratrice è marginale, e lascia spazio alle immagini, al gioco mimico, alle note di Kurt Weil, Chačaturjan, Šostakovič, Nino Rota, ma anche di Lola, cosa impari a scuola e Bésame mucho.

Con la sua evocazione circense, il fascino delle immagini, l’ambivalente figura di Arlecchino, a un tempo comico e tragico, la parade è sembrata sintetizzare, come in un manifesto programmatico, il senso e la poetica di Teatro a Corte.

 

Claudio Facchinelli

 

Festival Teatro a Corte 2016

A Torino e nelle dimore sabaude, dal 7 al 17 luglio.

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