SulmonaCinemaFilmFestival, la voce che non si arrende

 

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Se lo scopo di un Festival è proporre una voce diversa, scatenare una discussione, squadernare titoli trascurati dal main stream a costo di sembrare (a torto) un filo snob, allora il Festival del Cinema di Sulmona ha centrato perfettamente il bersaglio. Il confermatissimo direttore artistico Roberto Silvestri, critico cinematografico del Manifesto, non ha fatto una piega di fronte ai languori del budget, ha arruolato David Riondino dandogli la presidenza della giuria, ha messo su, con l’ausilio di Marco Maiorano (nella foto, insieme a Riondino), giovane e competente presidente dell’Associazione che organizza la rassegna, una serie di titoli esigua ma densissima, di incantevole precisione stilistica. La città ha risposto al meglio, in tempi come questi – s’intende – in cui una sala mezza vuota va vista come mezza piena, e l’emozione è stata fortissima, spesso quasi insopportabile, come nella serata di “Come il vento”, il film ambientato, in parte, proprio a Sulmona, e che ricalca le vicende biografiche della direttrice carceraria Armida Miserere, suicidatasi a pochi metri dal cinema in cui una straordinaria Valeria Golino inchiodava alle sedie il pubblico. Quel cinema Pacifico che, nel suo essere démodé (una sola sala, che scandalo!), vive solo pochi giorni all’anno. Non c’è posto, a Sulmona come altrove, per i Templi della Conoscenza.

 

Abbiamo visto un film sul tema delle corruzioni in campo medico (“Il venditore di medicine” di Antonio Morabito), uno sulle solitudini alpine di minoranze in fuga (dal nordafrica) o stanziali (i ladini), ovvero un “La prima neve”, di Daniele Segre, di commovente poesia, e il cui piccolo protagonista, Matteo Marchel, ha ricevuto una strameritata menzione speciale della giuria.

 

E ancora, un film coraggioso e imperfetto come “La città ideale”, esordio registico di Luigi Lo Cascio. L’Ovidio d’Argento è andato a “Zoran, Il mio nipote scemo” di Matteo Oleotto, ma la giuria ha elargito una menzione anche a “Salvo” di Grassadonia e Piazza, che a differenza di altri lavori ha avuto più chances nelle sale nazionali (le poche rimaste).

 

Un premio per la miglior colonna sonora, intitolato coerentemente alla memoria di Gabrielle Lucantonio, per tanti anni vivace protagonista nella giuroa del festival, è stato conferito a Transeuropae Hotel di Luigi Cinque.

 

Sulmona vive di memorie ovidiane, di dolci tentazioni al sapore di confetto (e, perchè no, di aglio rosso), della Giostra cavalleresca, del centro storico miracolosamente intatto da eccessivi scempi (valli a trovare, in Abruzzo), e di questo Festival con un’anima e un valore, di cui non ci stancheremo di sottolineare l’importanza. Sopravvisuto a terremoti, amministrazioni sorde (quando non addirittura ostili) e soprattutto ad una certa apatia provinciale che guarda con scetticismo chi agita la coda (Patrizio Iavarone, Pierluigi Marzi, Carlo Liberatore – autore della sigla, semplice e geniale – e i volontari tutti della macchina organizzativa, coordinata da Pierlorenzo Puglielli), e non si accontenta di parole vuote e passive biascicate durante lo struscio.

 

Se il cinema si fa(ceva) solo a Roma, è la provincia che lo tiene vivo. Con le sue storie, con i suoi intuiti, con le sue barricate contro la deriva culturale in cui hanno fatto piombare il BelPaese. E i suoi paesani.

                                                                                                                    Antonio Mocciola

Sulmona, 23-12-2013

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