“Scarrafunera”, viaggio nei meandri
dell’anima umana

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Da un’idea di Cristian Izzo nasce uno spettacolo molto particolare in cui i protagonisti sono Luigi Credendino, Alessandro Langellotti, Diego Sommaripa e musiche dal vivo di Salvatore Torregrossa.

È un’altra prova di forza del regista Izzo che porta sul palco un teatro ragionato ed intelligente con ambientazioni essenziali, ma d’effetto, e contenuti dal valore sociale molto sostanzioso.

Le sue doti già note, non solo di regista, ma anche di attore, gli consentono un lavoro dietro le quinte che dà alla rappresentazione un’impronta assai personale e dona sincronie e interazioni intense fra i personaggi dello spettacolo.

I protagonisti sul palco si sono distinti in maniera egregia in una prova tutt’altro che semplice attraverso un’interpretazione che ha esaltato il lavoro di Izzo portandolo ad un livello elevato.

La “Scarrafunera” inizia in un’atmosfera cupa e buia che accompagna l’inizio dell’opera con i suoni di Salvatore Torregrossa, dopodiché, i tre attori, seduti in uno spazio a loro dedicato tra il pubblico, iniziano a recitare sul sottofondo vocale di una citazione, grottesca, di Salvatore di Giacomo tratta da “’o funneco” che introduce proprio la “Scarrafunera”.

E sta ggente, ‘nzevata e strellazzera/cresce sempe, e mo’ so’ mille e triciento/ Nun è nu vico; è na scarrafunera.”

Tutto lo spettacolo è un’introspezione dell’animo umano, quello di una vita disagiata, ai limiti dell’estrema sopravvivenza sociale, economica e psicologica; le voci narranti dalla citazione di Di Giacomo prendono, poi, un percorso proprio e variopinto, attraverso molteplici riflessioni, ripetute, che come un martello penetrano nel cervello istillando una riflessione obbligata.

La condizione dello “scarrafone” appartiene a tutti; è un attimo di delirio lucido quello che lo fa comprendere all’individuo ed è un altro attimo di delirio quello che fa capire che si deve migliorare spogliandosi delle mille maschere pirandelliane con cui ci si nasconde alla e dalla società. Va fatto strisciando, sempre come “scarrafoni”, risalendo la scala “evolutiva” attraverso una luce di rivalsa che ha quasi del divino.

L’antropomorfo-centrismo che detta da sempre l’esistenza dell’uomo, non gli ha mai consentito di vedersi come individuo facente parte di una collettività, ma l’egoismo tipico umano l’ha ottenebrato in un’ottica del tutto individualista estremizzata sino al compiacimento estremo di se stessi, come ben evidenziato dagli attori durante la recitazione.

La scalata verso la redenzione dell’animo umano è infinita, la risalita in cui ci si dilegua dal continuo scavalcarsi e calpestarsi degli scarafaggi ridotti in un fetido buco darà, come risultato, un trovarsi più in alto, in un altro fetido buco infestato da altri scarafaggi che si calpestano a loro volta e si scavalcano… insomma ci si trova in un’altra “scarrafunera”, a dimostrazione che nel dannarsi a muoversi e a scavalcarsi, ogni scarafaggio vive d’immobilità anche quando cerca di partire verso “lidi” migliori.

La conquista del mondo cui si aspira rimane solo utopica, evidenziando un concetto tipicamente “nietzschiano” di uomo strumento della natura.

Fabio Di Bitonto

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