San Giorgio a Creamano, “Due cuori spogliati”
il teatro che non è fatto per rassicurare

 

ride arte

Confessare i propri intimi segreti. Una pratica catartica che ormai non è in auge nemmeno nei più angusti confessionali.

 

Questo il punto focale di “Due cuori spogliati”, opera di Paolo Perelli in scena al Centro Teatro Spazio di San Giorgio a Cremano il 15 e 16 marzo 2014.

 

Un modo di vedere il palco che non assomiglia per niente allo spettacolo tradizionale quello del registra/ interprete che si apre raccontando un modo di lavoro che assomiglia più ad un corollario di vita.

 

Essenza teatro (così si chiama il progetto con il quale a Roma lavora e vive), è il teatro delle emozioni, è un luogo fisico nel quale si insegna teatro e si vive di teatro ventiquattro ore al giorno.

 

Il nostro problema è che non abbiamo più identità e, anche quando ci mettiamo a fare una cosa, non siamo quella cosa, il teatro come lo intendiamo è un teatro che cerca di tirare fuori le emozioni nello spettatore, emozioni che rappresentano la vera rivoluzione e noi tutti al teatro dovremmo dare parecchio peso, se le persone capissero di più delle proprie emozioni si vivrebbe tutti meglio”.

 

Queste le sue parole che suonano più come un grido, non provocatorio ma accorato, a quello che tutti noi facciamo con le nostre vite, con Paolo Perelli è impossibile parlare solo di teatro ma, come un enjembement poetico, il discorso per forza di cose trasborda su quello che siamo, su quello che dovremmo essere e non siamo, su quello che potremmo (per meglio dire), essere.

 

Tempo fa (continua Perelli), mi sono trovato in una riunione con l’allora sindaco di Roma, e il concetto che ho portato avanti non è stato quello di pretendere qualcosa dalle istituzioni ma quello di dichiarare la nostra esistenza in quanto teatranti. […] La struttura stessa del nostro vivere è completamente concentrata su come riuscire a portare a casa più cose per noi… Le faccio un esempio: un collega una volta mi disse: ‴Sono trent’anni che lavori ancora non hai una casa‴ io ho risposto: ‴So quarant’anni che lavori … Ancora non hai un teatro‴.

 

Il teatro per Perelli è viaggio è sogno e ricordo insieme, senza che in questo debba esserci un minimo di giustificativo stilistico è l’opera che un o più uomini fanno per rendere un servizio ad altri uomini: raccontare un pezzo del nostro comune mondo interiore.

 

Con queste premesse ho assistito ad un’opera che è tutto fuorché rassicurante due personaggi ispirati, da una parte “Spogliarello” di Dino Buzzati e dall’altra “Il cuore rivelatore” di Edgar Allan Poe.

 

È il racconto di due storie di perdizione e di accettazione due anime definibili “nere” si accettano e passano la loro esistenza a raccontarsi tutte le sere, a provare e riprovare. Alla ricerca di una dimensione altra rispetto al peso della sofferenza delle loro scelte passate.

 

Liliana Stanziati e l’altra parte del palco, condivide con Perelli il luogo fisico e intreccia il luogo spirituale con il suo “antagonista/amore”. È una prostituta pentita che ricorda tutti i passaggi fondamentali della sua esistenza cercando di sottrarsi alla sofferenza di dichiararsi colpevole rispetto alle proprie, in-dicibili, e manifeste colpe.

 

Perelli (per tutto lo spettacolo fermo su una sedia a rotelle), giudica la donna che con lei vive la catarsi di tutte le sere: “Il teatrino” come lo chiamano i due conviventi.

 

In una dimensione nella quale scompare la quarta parete si rivolge direttamente al pubblico, come quasi le domande dei suoi soliloqui non siano retoriche ma dirette. Racconta la sua storia di violenza in un crescendo attorialmente perfetto che arriva alla confessione in un monologo che trascina l’attenzione di chiunque guardi nelle ansie del protagonista come se fossero le proprie.

 

Una regia che lascia poco spazio al dinamismo se non per alcuni momenti, nei quali sul palco (con pochissimi mezzi scenici), si materializzano situazioni e luoghi lontani nel tempo.

 

Una regia pressoché fotografica con staticità che risultano paradigmatiche e vogliono, o tentano, di imprimere i concetti espressi nella parte visiva di chi assiste.

 

Una scenografia enormemente scarna (diretta da Claudio Bellu), si intreccia con un gioco di luci che vuole sottolineare la profonda bipolarità della piece.

 

Le musiche e i suoni di scena (dirette da Deborah Ponzo), contribuiscono a creare l’atmosfera del ricordo al quale il regista vuole arrivare.

 

Alla fine non c’è redenzione piena, c’è l’unione di due fragilità, come due carte da gioco poggiate l’una a l’altra, non si realizza una volontà di autodistruzione ne una catarsi completa, è terminato il “teatrino” anche questa sera… Domani si ricomincia.

 

 San Giorgio a Cremano (NA), 23-03-2014

Edoardo Nappa

 

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