Potente e crudele Il Rito di Bergman nell’eccellente adattamento di Alfonso Postiglione

Tratto dall’omonimo film per la televisione del 1969, scritto e diretto dal grande maestro Ingmar Bergman, Il Rito, in questa suggestiva versione per il teatro, in prima assoluta al Campania Teatro Festival, ripropone in maniera potente e incisiva, grazie all’adattamento e alla regia di Alfonso Postiglione, alle scene di Roberto Crea e alle musiche di Paolo Coletta, tematiche care al grande autore di Uppsala, in primis quelle relative alla repressione, alla violenza e alle contraddizioni che agitano l’animo umano.
La storia, scandita in nove quadri misurati ed essenziali, racconta l’accanimento di un giudice – il subdolo e viscido Abrahamsson interpretato dal bravissimo Elia Shilton – su tre attori di successo, accusati di aver messo in scena uno spettacolo osceno.
A prescindere dalla fondatezza giuridica dell’accusa e a prescindere dal valore etico di qualsiasi azione censoria, l’attenzione del giudice sul trio di artisti sembra essere volta a penetrarne, con morboso voyeurismo, le relazioni private e i profitti economici, le scelte personali e quelle di coppia: Abrahamsson non è solo un magistrato, ma un campione di livore e frustrazione che, dietro l’apparente cortesia e lo scudo della legge, cela una cattiveria profonda, una tangibile invidia per chi – a suo parere – vive un’esistenza più libera e soddisfacente.
In realtà, lo spettatore, che assiste anche ad alcuni significativi frammenti esistenziali dei tre attori – interpretati in maniera eccellente da Alice Arcuri, Gianpiero Judica e Antonio Zavatteri – si rende conto che la loro esistenza è tutt’altro che libera e soddisfacente e, per quanto riscuotano un evidente successo professionale, la loro vita sentimentale è segnata dal fallimento e dallo scacco e i loro comportamenti, dalla banalità e dal cinismo.
Dunque, il conflitto tra il giudice Abrahamsson e i tre attori accusati di oscenità non è assimilabile al conflitto tra due poli antitetici, non può essere letto come la consueta contrapposizione manichea tra bene e male: i quattro personaggi sono tutti negativi, rappresentano diverse declinazioni della solitudine e dell’individualismo, dell’arroganza e della volubilità e, dunque, l’epilogo del loro conflitto, del loro scontro, non può che essere tragico e kafkiano al tempo stesso, non può che ridursi ad un gesto violento e plateale, un gesto enfatico e simbolico – un rito appunto – tanto sinistro e crudele da rivelarsi fatale, suo malgrado.
Campania Teatro Festival, Teatro Mercadante, 20.06.2023 . Ph Anna Abet
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