Colorata ed arguta la versione del capolavoro goldoniano firmata da Giuseppe Marini con una fin troppo lieve Nancy Brilli
Misurarsi coi classici è sempre materia delicata. Tutti, o quasi, abbiamo nella memoria un riferimento al quale paragoniamo un allestimento che vede portare in scena un testo che rientra nel novero degli “immortali”, e la cosa, per chi porta in scena queste opere, può spesso rivelarsi un’arma a doppio taglio: se infatti da una parte l’opera risulta ben riconoscibile nell’immaginario collettivo, e facilmente garantisce un seguito anche commerciale, dall’altra il rischio da calcolare è quello che si pongano regia, attori e tutto quanto partecipi all’allestimento come in una sorta di esame comparativo con i riferimenti che abbiamo nella nostra memoria. Sicuramente “La Locandiera” di Carlo Goldoni fa parte di questa categoria di grandi testi, sia per la sua innegabile validità letteraria, sia per le storiche edizioni di secoli di teatro, che, solo nel ‘900, conta delle immortali interpretazioni, bastino quelle di Rina Morelli per la regia di Visconti, o quella televisiva di Valeria Moriconi, o ancora Carla Gravina diretta da Cobelli, e quella di Adriana Asti diretta dal grande Patroni Griffi. Si tratta di registi ed attrici con personalità molto diverse, ma anche con solide formazioni teatrali, quelle che una volta portavano attori e registi ad affrontare i suddetti testi alla fine di percorsi artistici che gradualmente davano accesso ai personaggi più impegnativi. Giuseppe Marini è un regista raffinato e fantasioso, che questo percorso lo ha compiuto nel corso degli anni, con bellissimi allestimenti shakespeariani, una fantastica edizione de “Le serve” di Genet, con Franca Valeri ed Annamaria Guarnieri, ed un buon numero di testi contemporanei. Arrivare al capolavoro goldoniano era una giusta tappa di questa carriera che non esclude elementi di ottima creatività artistica, nonché di quella giusta strizzatina d’occhio al pubblico che non guasta, visto che è fondamentalmente per lui che si va in scena e non contro di lui, come qualche suo dotto e sponsorizzato collega, impegnato con regie dello stesso autore, spesso intende. La sua regia della locandiera ha dei momenti di perfetta sincronia coi tempi contemporanei, senza perdere di vista la classicità del testo, e, cosa fondamentale per questo testo, diverte.
Un discorso a parte, però, lo merita il lavoro degli attori. Si registra, infatti, poca amalgama interpretativa, dovuta, bisogna ammetterlo, ai differente background e modo di approcciare scena e personaggio. Si cominci con Mirandolina, con cui Nancy Brilli si misura in maniera che oseremmo definire temeraria. Si riconosce all’attrice una sua affinità con la vezzosità e la femminilità del personaggio, una sua personale attinenza con il verbo comico, ma queste non bastano perché si possa dire che l’esame sia riuscito a pieni voti. Dietro le sue gradevoli moine, poco c’è della profondità di un personaggio che, come le fa dire l’autore, non è una “fraschetta”. Certo la Brilli, oltre alle numerose e felici interpretazioni cine-telvisive, ha alle sue spalle anni di teatro, ma di quel teatro da vaudeville moderno che poco ha a che vedere con i grandi classici del teatro.
Di tutt’altra qualità risultano le brillanti interpretazioni di Fabio Bussotti e Maximilian Nisi, che caratterizzano in maniera originale e solida i ruoli dei due nobili pretendenti della donna, portando a casa numerosi applausi a scena aperta: senza cadere mai in ruffianerie col pubblico riescono a divertire nella dolorosa e spietata comicità voluta dall’autore, che l’arguta regia moltiplica con l’ausilio di costumi eccessivi nella loro infedele classicità (firmati dalla brava Nicoletta Ercole), il Conte (Bussotti) di un’eleganza retro ed imparruccata, il Marchese (Nisi) “bauscia” colorato e starnazzante nella zoomorfica mise da gallinaccio. Interessante l’dea registica che se da una parte concentra in un unico personaggio le due comiche, Dejanira e Ortensia, moltiplica, dall’altro, l’inganno nei confronti dei due nobili, facendolo interpretare da un uomo (Fabio Fusco), dando così il via ad una serie di equivoci farseschi.
Se il regista Marini risulta, quindi, del tutto convincente, salvo, forse, qualche eccesso pop della scelta musicale, non altrettanto, purtroppo, si può dire della sua interpretazione di Ripafratta, che, soprattutto nella prima parte della commedia, risulta troppo concentrata nella prestanza fisica, esaltata dai costumi da vera rock star, e meno nella profondità di uno dei più complessi personaggi scritti dal veneziano. Completa il cast il volenteroso ma acerbo Andrea Paolotti.
Al di là di tutti dubbi espressi, a nostro avviso lo spettacolo resta comunque convincente, e lo dimostrano, ripeto, gli applausi e le risate di un pubblico che, una volta tanto, si lascia andare alla comicità di un teatro che può davvero chiamarsi tale e non del battutista televisivo di turno
Napoli, TEATRO ACACIA – 12 dicembre 2013
Gianmarco Cesario
LA LOCANDIERA di Carlo Goldoni
con Nancy Brilli, Giuseppe Marini, Fabio Bussotti, Maximilian Nisi, Fabio Fusco, Andrea Paolotti
scene Alessandro Chiti, costumi Nicoletta Ercole
regia Giuseppe Marini