Incarnazione di un’umanità che osserva, sorveglia, custodisce e prova a risolvere vicende più o meno oscure consumate in terra di camorra, Il confessore, propostoci nell’ultimo lavoro drammaturgico di Giovanni Meola, intensamente interpretato da Aldo Rapè, è una figura a metà strada tra una declinazione laica e carnale dell’angelo custode e una versione pura e credibile del sacerdote consapevole del proprio ruolo di vigile sentinella delle cose umane, più che di quelle divine.
In questa prospettiva, il personaggio portato in scena da Aldo Rapè perde qualsiasi connotazione ecclesiastica, qualsiasi distanza liturgica, e si trasforma in una figura d’aiuto, in quanto, partendo dai propri personali percorsi di vita, accoglie e soccorre gli altri, creando l’ambiente adatto ad una sincera e sentita confessione.
Ecco, dunque, che la confessione stessa perde la sua consuetudinaria realtà di sacramento per ridefinirsi come modello di un rapporto privato e palingenetico tra confessore e confessato, un rapporto umano privilegiato e “scandaloso” che offre protezione perfino al boss, ponendo i presupposti necessari alla rivelazione di trame malavitose e alla ricapitalizzazione spirituale di un’umanità che cerca di riscattarsi e affrancarsi dall’errore.
La messinscena, scritta e diretta con grande equilibrio e nettezza da Giovanni Meola, restituisce, dunque, un inedito senso della religiosità, una vocazione diversa dall’idea che si è soliti avere della vocazione sacerdotale: il protagonista dell’opera è, infatti, un sacerdote asistematico che evoca inevitabilmente le carismatiche figure di diversi preti che, negli ultimi anni, hanno lottato coraggiosamente contro il malaffare, spesso pagando con la propria vita e in assoluto ed esecrabile isolamento, portando a termine piccole rivoluzioni di legalità, miracoli laici di civiltà e maturità civile.
Da Don Peppe Diana a Don Pino Puglisi, da Don Luigi Merola fino a Don Maurizio Patriciello, i preti impegnati nel contrasto alla malavita, sempre in prima linea per quanto concerne la lotta all’illegalità, sono diventate figure necessarie dell’economia spirituale dei territori del mezzogiorno d’Italia e, dunque, nuovi modelli di una letteratura che senta l’esigenza di narrare frammenti di una società che resiste, nonostante tutto, alla crisi etica e civile degli ultimi anni.
Theatre De Poche, 23/3/2014
Claudio Finelli