“I racconti del Bar sport”, una «cosa ganzissima»

Intervista al protagonista del lavoro ispirato a “Bar Sport” di Stefano Benni, presentato in prima nazionale al Teatro di Rifredi di Firenze.

Con “I racconti del Bar sport” Lorenzo Baglioni ha portato in scena un vero e proprio show su quello che passa in uno dei più «straordinari luoghi di aggregazione» di sempre: il bar. Il celebre libro si Stefano Benni, edito da Mondadori nel 1976 e ripubblicato a quarant’anni dall’uscita, rappresenta il punto di partenza di uno spettacolo che però riesce a parlare al presente, secondo dei linguaggi del tutto inconfondibili. Abbiamo incontrato Lorenzo nel foyer del Rifredi, il teatro in cui quest’ultimo progetto è stato pensato e ha preso vita, in un cinque sere di quasi tutto sold out. Attirati dagli applausi e dalle risate che dal palcoscenico hanno contagiato –indistintamente- spettatori di tutte le età, ci siamo fatti raccontare un po’ di cose su questo nuovo spettacolo e su ciò che ha saputo ispirarlo. La nostra conversazione è stata interrotta da un «caro Lorenzo, ci faccia ridere. La vita è piena di un sacco di cose tristi»; era la voce di una signora che aveva appena acquistato i biglietti per venire a vedere il suo spettacolo. Con “I racconti del Bar sport” Baglioni non fa che confermare i tratti distintivi di una comicità di cui le persone sentono e vogliono far parte.

Parlaci di “I racconti del Bar Sport”. Com’è nato questo spettacolo-show?
Angelo Savelli mi ha fatto trovare su questo tavolo del Rifredi il libro “Bar Sport” e mi ha detto «ho quest’idea da un po’ di tempo. Vorrei provare a riportare in scena il lavoro di Benni». Reduce dall’esperienza di “Selfie”, ha subito pensato che io e la mia band fossimo adatti ad un lavoro di questo tipo, restava solo da capire se l’autore del libro ci avrebbe concesso i diritti per lavorare su uno dei suoi testi più celebri. Fin da subito mi è sembrata una cosa ganzissima, un’occasione che avrei voluto realizzare immediatamente per due motivi: innanzitutto per il rapporto che c’è con il Rifredi; questo teatro mi ha accompagnato da sempre, mi ha fatto crescere dandomi tante opportunità anche anni prima che succedessero le cose sul web, quando facevo solo l’attore di teatro. Oltre a questo avrebbe significato non solo portare in scena un lavoro di Benni, ma tutto quello che lui ha rappresentato e rappresenta. Quando la proposta è stata accolta, con Angelo ci siamo concentrati sui brani: un lavoro di selezione ma soprattutto di confronto. Questo “andare insieme” ha fatto sì che potessi concentrarmi sul come riportare quei testi letterari in una forma che fosse teatralmente efficace, considerando anche tutto quello che, di nostro, avremmo voluto aggiungere. Mi riferisco alle canzoni scritte insieme a mio fratello, di ciò che avrebbe arricchito lo spettacolo non in una forma di competizione ma proprio di originalità. Da una parte, infatti, ci sono i testi puristi benniani che abbiamo pensato di riprendere fedelmente, dall’altra un Benni rivisto da, e mi riferisco a delle integrazioni pensate proprio sul mio modo di raccontare le cose e fare teatro.

2- Nello spettacolo, infatti, c’è come un equilibrio tra quello che è l’omaggio all’autore e la comicità che invece ti contraddistingue. Questo accostare due esperienze cronologicamente e geograficamente lontane (il primo libro è stato scritto nel ’76 fa, e Benni è bolognese), è un aspetto molto interessante.
Il fatto che siano passati degli anni può essere un punto di forza per lo spettacolo, perché i temi rappresentano qualcosa di ben radicato nelle persone che permette di “attivare” un ricordo condiviso. Questo è un po’ il punto di partenza. Vero è che oggi, anche se delle cose nel tempo sono rimaste invariate, qualcosa –in bene o in male non lo so – è cambiato rispetto alla realtà che Benni descriveva nel libro. In questo senso abbiamo cercato l’equilibrio: attualizzando non tanto i contesti ma proprio alcune, specifiche, situazioni e lo abbiamo fatto soprattutto con le canzoni: “Facebook bar”, “La fiera del web”, che ci hanno davvero riportato al presente, a quello che ci succede quando siamo in una situazione “da bar”, dove inevitabilmente si condivide un’esperienza.

3-“I racconti del Bar Sport” viene dopo una serie di esperienze che già si erano ispirate a questo tema: “Al Bar dello sport” , film di Francesco Massaro dell’ ’83 e “Bar Sport” con la regia di Massimo Martelli del 2011 che riprende fedelmente i passaggi dell’omonimo libro. Come lo vivono i fan di Benni il tuo spettacolo?
È una cosa molto interessante questa. Noi abbiamo fatto un lavoro anche un po’ “blasfemo” per uno che un purista di Benni (ride), con le aggiunte, le integrazioni di cui ti parlavo prima. Con Angelo Savelli ci siamo interrogati a lungo su quale fosse la strada più giusta da intraprendere, anche perché molto dipende da coloro che andranno a far rivivere una certa storia. A noi ci è sembrato interessante provare a fare questo mix tra Benni e noi. Ci sono dei tratti, delle caratteristiche che era importante mantenere proprio nei confronti degli spettatori. Abbiamo sentito come un’esigenza. La difficoltà è stata proprio questa: esaudire le aspettative di chi è venuto a vedere lo spettacolo perché conosceva Benni e chi, invece, si aspettava prima di tutto determinate cose da me. L’obiettivo è stato un po’ quello di appagare tutti.

4- Oltre a tutto quello che è stato costruito in funzione dello spettacolo, emerge anche una parte più autentica, quella del ricordo. Anche Lorenzo Baglioni è stato assiduo frequentatore di questi «straordinari luoghi di aggregazione». Cosa ha rappresentato per te il bar?
Sono cresciuto fino ai vent’anni a Greve in Chianti e il bar, in quel contesto, ha davvero rappresentato un luogo direi quasi indispensabile, dove ho passato davvero molto tempo. Ci stavo a giornate intere al bar, soprattutto alla Casa del Popolo. Sono molto affezionato all’ambiente del bar, anzi, io voglio proprio bene a quel mondo che credo mi abbia dato tanto di quello che riporto sul palcoscenico, soprattutto il senso di un folklore paesano; è un aspetto questo, secondo me, straordinario. Parlo di un mondo assolutamente autentico, creativo, per certi versi anche geniale che, certo, qui viene estremizzato, ma che mi porto dentro davvero con tanto affetto.

5- Giuseppe Battiston, protagonista nel ruolo di Onassis del film del 2011 di Martelli, in un’intervista aveva affermato: «il bar è una forma primordiale ma assolutamente sincera di teatro. Ci sono dei personaggi paradigmatici e forti, c’è un pubblico -perché altrimenti questi personaggi non si esprimerebbero – e c’è una sorta di regista che potrebbe essere il barista». Condividi questa definizione?
Non so se il regista potrebbe davvero essere il proprietario del bar. Difficile dire chi è davvero.  Magari c’è una sorta di anarchia in cui ognuno è il regista di se stesso o magari il regista è proprio l’entità astratta del bar che manovra questi clientiattori. Però è assolutamente vero. Nella definizione di Battiston è molto interessante soprattutto l’idea che ci sia anche un pubblico, i cosiddetti personaggi di periferia, i semplici frequentatori che assistono a questa sorprendente ma spontanea messa in scena. È dal confronto tra i veri protagonisti e la parte più marginale che nascono certe situazioni, da questo stare insieme che spinge certi soggetti a esprimersi secondo modalità ben precise e il bisogno, totale, di fruirle.

6- Tra i diversi caratteri-tipo del bar che interpreti, verso quale nutri un affetto particolare?
Senza dubbio, l’incazzato da bar. Tra tutti i personaggi che porto in scena, questo è quello che ho più presente perché ho conosciuto davvero tanti soggetti con le sue caratteristiche. Stiamo parlando di quello che si lamenta di tutto, che ti dice una cosa ma dopo un secondo ti dice il contrario di quello che ha detto prima. Saprei proprio dare un nome a colui che sente proprio il bisogno di fare semplicemente…polemica! Ma la presenza di questo carattere che, giorno dopo giorno sperimenta come delle “tecniche” per non perdere quel ruolo, è fondamentale, perché alimenta la conversazione. La discussione è qualcosa che fa stare insieme anche se sembra di andare in direzione opposta. I momenti in cui l’incazzato da bar è protagonista, non sono mai veramente distruttivi a livello sociale, ma al contrario creano aggregazione. La discussione fatta in una maniera quasi goliardica crea anche folklore, un ambiente che può essere davvero molto divertente. Insomma, va a finire che poi, quando arriva, l’incazzato, sei anche contento.

7- Un’ultima domanda su di te. Tiriamo le somme non tanto dello spettacolo, ma proprio del Baglioni protagonista. Proviamo a trovare una definizione al professore, attore, autore, cantante e web talent fiorentino del momento. Cosa senti di essere diventato oggi?
Oggi io vorrei solo cercare di non incastrarmi in un solo mezzo di comunicazione ma continuare a parlare contemporaneamente di web, teatro e televisione. Le sto sperimentando un po’ tutte queste strade. Ognuna ha degli aspetti estremamente affascinanti: i video hanno la naturalezza e la spontaneità, il teatro ha l’emozione del palcoscenico, lo spettacolo nelle piazze, il contatto con il pubblico. Un comune denominatore a tutte queste cose, forse, è che mi diverto un sacco facendole e questo credo sia necessario quando si vuole far divertire gli altri. Non saprei nemmeno io come definirmi, forse “un attore che fa varie cose”? Ora stiamo lavorando a molti progetti, soprattutto sul format delle canzoni didattiche. Partirà anche uno spettacolo sullo stile di “Selfie”, qualcosa da portare in giro nelle piazze e nei locali estivi. Spero solo di avere sempre la fortuna di andare in questa direzione, divertirmi e continuare così a fare…un sacco di roba!

Laura Sciortino

Firenze – TEATRO DI RIFREDI, 24 marzo 2017

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