I pochi ma ottimi eredi
di Giorgio Gaber

In tanti oggi si chiederebbero come reagirebbe e cosa direbbe Giorgio Gaber davanti allo tsunami sociale e antropologico che la pandemia ha permesso di sdoganare e di imporre a quella ridicola fettina di pianeta che chiamiamo “occidente” e che riteniamo faro e nume tutelare del mondo intero. In verità non se lo chiede nessuno e Gaber – tra fluidità di genere, temperature canicolari, milf e cougar alla conquista del mondo o negritudini amputate della ‘G’ – avrebbe forse scappellato dal suo genio dolente ennesimi, ficcanti, puntuti dagherrotipi dei tempi che sono. Ma anche il Signor G ha fallito perché la sua corposa lezione di vita, la sua mai eguagliata capacità di mettere con poesia sotto la lente gli umani e le loro tragicomiche miserie, riscuotono l’amore e il plauso solo di chi lo ha conosciuto e ne ha seguito l’opera quand’era in vita. Sabato 22 luglio, ai Giardini della Filarmonica di Roma (all’interno della corposa e ben concertata stagione estiva de “I solisti del teatro”, diretta e organizzata dalla valente Carmen Pignataro) le circa duecento persone che hanno assistito ad “Io mi chiamo G.” avevano almeno superato la quarantina d’anni. Poco male; ci si consola in quell’esclusività (quasi iniziatica) preclusa ai superficiali o ai giovinastri stritolati da quell’eterno presente che Gaber sapeva magistralmente inquadrare e demolire con garbo e senza sconti.

Due ore di teatro canzone del Gaber/Luporini meno ideologico, ma non meno politico, hanno reso un omaggio elegante e di alto profilo qualitativo a chi cercava svago e impegno, leggerezza e densità. Merito di un gruppo di lavoro capace di fare e fare molto bene senza strafare né porre il proprio ego davanti a colui che si vuole celebrare: un’ottima Maria Teresa Pintus, voce solida e versatile, filologicamente perfetta che non declina al femminile gli aggettivi originali e si rivela abilissima nel restituire con pienezza ogni sfumatura di Gaber mantenendo intatta la propria personalità di cantante e di donna. E poi Marco Zangardi, più incline alla parte attoriale che a quella musicale che sceglie un profilo molto sobrio ma personale e riconoscibile, mettendosi ben al riparo dall’alto rischio di imitare o di suggerire un confronto che sarebbe stato sfavorevole a priori. I due tempi dello spettacolo volano che è un piacere, il pubblico segue le liriche anche dei brani meno noti, l’amalgama è assicurata dalla maestria del terzetto base chitarra, basso e batteria che esegue impeccabilmente ogni canzone e sottolinea con pathos molti momenti dei monologhi.

Francesco Giannotti

Giardini della Filarmonica – Roma

22 luglio 2023

“Io mi chiamo G.” di Giorgio Gaber e Sandro Luporini

regia Marco Belocchi

con Marco Zangardi e Maria Teresa Pintus

Andrea Moriconi (chitarra), Fabio Landi (basso), Valerio Cosmai (batteria)

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