“Scende giù per Toledo” narra la storia di un travestito e offre l’occasione per parlare di sessualità “trasversale” di ieri e di oggi, di coloro che sono amati/odiati da uomini e donne.
Giuseppe Patroni Griffi scrisse questo breve romanzo nel 1975 narrando la storia di un travestito chiamato Rosalinda Sprint. A quei tempi l’opera scatenò grandi polemiche, ritenuta scandalosa per la tematica omosessuale, ma soprattutto per il linguaggio crudo con cui venivano descritte le scene di sesso. Arturo Cirillo ha recuperato e riadattato per la scena “Scende giù per Toledo” portandolo al Teatro Sannazzaro in occasione del Napoli Teatro Festival Italia 2014. In una lingua musicale, facilitata dall’uso del dialetto napoletano (evocato più che parlato), la protagonista racconta la sua vita alternando la prima e la terza persona come se ogni evento rivivesse nuovamente dentro di lei (Cirillo decide di usare talvolta la voce registrata) in un monologo interiore che si fa spesso flusso indistinto di ricordi che si susseguono alla velocità del pensiero.
In verità Rosalinda Sprint è un personaggio a metà tra il vecchio femminiello e il travestito. Del primo assume la gestualità, l’eccentricità estetica (vestiti sgargianti, accessori kitch), la voglia di essere femmina, del secondo racconta la solitudine e la mortificazione. Purtroppo la vicenda di Rosalinda Sprint ricorda tante altre tristi storie di travestiti, costretti spesso dalla loro natura di “irregolari” (come ella stessa si definisce durante il suo monologo) a una vita di prostituzione e violenza. E infatti le avventure amorose di Rosalinda lasciano il gusto amaro dell’abuso subito e del peccato vissuto dai suoi amanti, uomini che la usano con rabbia, probabilmente incapaci di accettare quel desiderio che provano, percepito come perverso. Colpiscono le parole con cui l’autore descrive questo travestito: esile, delicata, tenera; ad essere volgare, sguaiato, brutale è tutto ciò che la circonda, le persone che incontra, la Napoli da cui alla fine decide di fuggire.
La figura di Rosalinda Sprint richiama tutta una serie di travestiti protagonisti della letteratura teatrale napoletana del Novecento, tra cui spicca sicuramente la Jennifer di “Le cinque rose di Jennifer” di Annibale Ruccello, riportata in scena anni fa proprio da Arturo Cirillo. Le comunanze tra Jennifer e Rosalinda sono tante: entrambe vivono in isolamento, abbandonate al loro destino; si innamorano subito, sono bisognose d’amore al punto da aspettare anche in eterno l’uomo che, seppure per un breve attimo, si è dimostrato gentile con loro. Rosalinda, poi, rincontra il suo Gaetano che la tratta male come tutti gli altri; Jennifer, invece, rimane in attesa di Franco, forse per sempre.
Parlare di travestiti ci riporta alla mente la terminologia che, soprattutto a Napoli, viene usata per designare gli omosessuali e i transessuali. Nella tradizione possiamo individuare l’antenato del travestito nel “femminiello”, la cui posizione sociale, però, è ben diversa. Il travestito – come abbiamo già mostrato – rimane ai margini, spesso in completa solitudine e discreditato dai più. Il femminiello, invece, aveva un ruolo sociale ben preciso nella comunità del vicolo, spesso aiutava le donne nelle faccende domestiche ed era considerato una specie di tramite con il sovrannaturale. I femminielli leggevano le carte, chiamavano i numeri durante la tombola, portavano fortuna ed erano molto amati. Erano omosessuali effeminati, desiderosi di essere donne (quando ancora non esistevano operazioni per poterlo diventare veramente): si vestivano in modo eccentrico, avevano una cura eccessiva del proprio corpo, si truccavano e assumevano gestualità femminili, ma esageravano tanto da destare il riso, un riso affettuoso. La loro persona era accettata socialmente e questo non li costringeva a una vita di dolore e sopraffazione, come invece poteva capitare ai “ricchioni”, parola meridionale che va a definire gli omosessuali non effeminati. Il termine deriva da orecchio (’recchia in dialetto napoletano) e si collega alla presenza nei porti di Napoli durante il viceregno spagnolo di alcuni marinai che indossavano grossi orecchini simili a quelli delle donne. È probabile che questi uomini, costretti a rimanere a lungo in mezzo al mare, fossero soliti soddisfare tra loro gli appetiti sessuali in mancanza di donne. Altra ipotesi dell’origine del nome risale all’antica Roma, quando nei bordelli gli omosessuali portavano grandi orecchini di bronzo che bilanciavano il movimento durante il rapporto orale.
È interessante notare che Patroni Griffi descrive Rosalinda Sprint in modo molto delicato, quasi raffinato, a differenza della descrizione che viene fatta di suo cugino Gennaro (anche lui attratto da lei suo malgrado e amante violento): brutto, peloso, rozzo. Come se l’immagine dell’uomo debba necessariamente opporsi a quella bella, morbida e chiara della donna. Ponendo lo sguardo ancora una volta sulla drammaturgia napoletana affiora un’altra figura che potremmo definire “neutra” e che rispecchia proprio questo ideale corporeo femminile. Troviamo due esempi in Desiderio di “Piéce noire” di Enzo Moscato (opera vincitrice del Premio Riccione nel 1986) e in Ferdinando dell’omonima opera di Annibale Ruccello (andata in scena per la prima volta anch’essa nel 1986, pochi mesi prima della tragica e improvvisa morte dell’autore).
“Piéce noire” racconta di una ricca prostituta, proprietaria di locali notturni sul lungomare di Napoli, che ha un grande sogno: fabbricare un angelo da far esibire in pubblico, un essere che accenda il desiderio di tutti, uomini e donne, e che, ovviamente, le faccia guadagnare tanti soldi. Con questo obiettivo alleva e istruisce bambini obbligandoli anche da adolescenti alla castità assoluta, ma tutti i tentativi falliscono perché i suoi “angeli” decidono di prostituirsi. Il suo piano sembra finalmente realizzarsi con il piccolo Desiderio, una creatura delicata, eterea. Moscato descrive questo personaggio con tutti quegli attributi di gentilezza e raffinatezza di cui abbiamo parlato e lo pone in netta contrapposizione con i suoi “fratelli”, travestiti chiassosi, scomposti e licenziosi. Basta una piccola distrazione da parte della Signora e Desiderio segue il loro esempio “sporcando” la sua anima pura. La donna, piena di rabbia e delusione, non ha altra scelta che uccidere il suo ennesimo fallimento.
Centro di attrazione, soprattutto sessuale, è Ferdinando, protagonista del testo di Ruccello (opera messa in scena anche da Arturo Cirillo), che giunge improvvisamente nella casa della baronessa Clotilde sua zia. La signora è anziana, malata, vive isolata e costretta in un letto, accudita dalla sua cugina povera Gesualda, che è diventata praticamente la sua cameriera. A frequentare la loro dimora è il prete don Catellino, segreto amante di Gesualda. L’arrivo di Ferdinando sconvolge la vita dei tre personaggi: tutti se ne innamorano, vinti dal desiderio di lui. Anche Ferdinando rappresenta l’essere angelico, fine, cortese, apparentemente puro. Lo si evince dalla descrizione che ne fa Gesualda quando in confessione rivela a don Catello gli incontri libidinosi tra Clotilde e suo nipote durante la notte: «L’avete visto annuro a Ferdinando? È bello, la pelle liscia come la seta, jànco, tiene quasi ‘o corpo ‘e ‘na figliòla, ma non è figliòla, anzi… è già gruoss’, meglio ‘e n’omme fatto». Cadono tutti vittime di questa creatura ambigua (che alla fine si rivela essere un impostore) che si concede a ognuno; colpisce la seraficità con cui Ferdinando spiega a don Catello la diversa natura delle sue relazioni con loro.
Desiderio e Ferdinando, in fondo, non sono tanto diversi da Rosalinda Sprint. Il loro mostrarsi ambigui e indefiniti li rende attraenti agli occhi di coloro che incontrano, come Gaetano e Gennaro, anche non volendo, si lasciano andare all’amplesso con Rosalinda. Quello che forse fa la differenza è che vivere una relazione sessuale con una figura “neutra” viene avvertito come qualcosa di meno scabroso, come se si trattasse di un’esperienza soprannaturale (chissà, davvero è come se andassero a letto con un angelo). Invece abbandonarsi alle voglie lussuriose con un travestito si porta dietro un’immagine di peccato, di scandalo, di “sporcizia”. È la stessa cosa, ma, come spesso accade nella mente umana, tutto dipende da come appare agli occhi della società.
Mariagiovanna Grifi