Emanuela Grimalda, con intelligenza e brio, ci racconta il “calvario” de “Le Difettose”

Le Difettose” è una tragicommedia intensa e leggera al tempo stesso, sull’imperfezione – la presunta imperfezione – che irrompe nella vita di alcune donne, trasformandosi gradualmente in un vero è proprio rovello interiore: l’incapacità di diventare madri.

La storia che porta in scena Emanuela Grimalda, tratta dall’omonimo romanzo di Eleonora Mazzoni, è quella di Carla, latinista che alterna la saggezza stoica delle massime senecane alla cocciutaggine di una donna che si sente sbagliata e vuole a tutti i costi “correggere” l’errore. Una storia che ci viene restituita da Emanuela Grimalda con estrema sensibilità e grande ironia poiché l’obiettivo non è quello di svalutare il legittimo desiderio di maternità della protagonista quanto far emergere il doloroso senso di esclusione con cui le donne, come Carla, sono costrette a convivere in una società maschilista che non può e non vuole comprendere né la loro sofferenza né la loro “innocenza”.

E così, le donne che ricorrono alle tecniche di procreazione assistita, diventano vere e proprie “adepte” di una specie di “setta clandestina” e si riconoscono e si esprimono attraverso un linguaggio in “codice” che ne amplifica costantemente aspettative e desideri.

Al centro della messinscena della Grimalda, intercettiamo un interrogativo profondo e reale: quanto di questo desiderio assoluto di maternità è sentito e viscerale e quanto è invece prodotto da un sistema che sembra avere nella “capacità di procreare” un presupposto irrinunciabile che giustifichi lo stesso stare al mondo delle donne? Ammesso che una soluzione unica e infallibile al quesito non esiste, esiste invece la possibilità di liberarsi dal senso di oppressione e frustrazione che deriva dal fatto di essere, agli occhi altrui, donne “difettose” per il solo fatto di essere sterili.

Lo spettacolo, il cui impianto registico è curato con la consueta attenzione dalla brava Serena Sinigaglia, hai il pregio davvero raro di affrontare un universo emotivo complesso, attraversato da solitudine e dolore, con una delicata levità che commuove, facendoci sorridere e che ci strappa sorrisi autentici con intelligenza e acume, senza ricorrere né a stereotipi né a luoghi comuni.

Roma, Teatro Brancaccino, 6 maggio 2017

Claudio Finelli

 

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