“Dalle ceneri” della memoria un’epopea per i morti

In prima nazionale al Fabbricone di Prato la riflessione di Massimo Luconi sull’opera di Tahar Ben Jelloun.

dalle ceneri - 5È stato presentato in prima nazionale al Teatro Fabbricone di Prato lo spettacolo di Massimo Luconi tratto da “La Remontée des cendres”, un poema in 600 versi che Tahar Ben Jelloun ha dedicato nel 1991 alle vittime della Guerra del Golfo. Dopo “La reclusion solitaire” del 2002 prosegue dunque con “Dalle ceneri” la riflessione del regista toscano sulla scrittura del poeta e saggista marocchino. Una scrittura definita dallo stesso Luconi «poetica e visionaria, e nello stesso tempo forte e sanguigna» che diventa in scena di una potenza emozionante. Parole pesanti come macigni che, nonostante la difficoltà della lingua francese, piombano sugli spettatori evocando visioni cariche di accuse e suggestioni. Esse ricadono su di noi come «Ceneri di un corpo scampato alla fossa comune offerte alla tempesta delle sabbie. Quando si alzerà il vento, quelle ceneri si andranno a posare sugli occhi dei vivi. E quelli senza saperne niente cammineranno trionfanti con un po’ di morte sul viso».

Un’immagine forte, diretta, che non può non far rabbrividire e che ben sintetizza l’essenza del poema e dello spettacolo. E cioè quella di una poesia che vuole ridare voce ai morti, non solo a quelli numerosissimi del conflitto del 1990, ma anche alle vittime silenziose di tutte le guerre, spesso private della vita, della dignità e della stessa identità. E la scelta di lavorare con un gruppo di attori senegalesi non è stata casuale, ma la tappa di un lungo percorso di ricerca. Già da tre anni, infatti, Luconi conduce un laboratorio di formazione teatrale nel nord del Senegal, a St. Louis, durante il quale è stato realizzato anche lo spettacolo “Antigone. Una storia africana”, andato in scena al Fabbricone nel febbraio 2014.

dalle ceneri - 4Su di un palcoscenico rivestito di candide stoffe, tra i riflessi di luci azzurre e il rumore delle onde del mare – cristallino richiamo ai tanti naufragi di profughi, ma forse anche all’inabissarsi delle nostre coscienze – un potente Ibrahima Diouf canta in prima persona l’epopea senza tempo di corpi a lungo dimenticati. Ai lati della scena le valige di chi è costretto ad abbandonare le proprie terre, mentre ‘angeli’ vestiti di bianco assistono partecipi alla performance. Un lungo e cantilenante monologo che a tratti richiama la sacralità dei riti tribali e la saggezza delle tradizioni popolari. Ibrahima Diouf è un morto, o forse uno sciamano che presta il proprio corpo ad anime che non riescono a trovare riposo. L’idea della possessione è resa dal ritmo con cui l’attore scandisce i versi, a tratti quasi una nenia o una preghiera, dai movimenti convulsi del suo corpo, ma soprattutto dallo sguardo. Occhi spalancati ma vuoti, orbite bianche che spiccano ancor più sulla carnagione scura di Diouf e attraverso le quali fissa i cuori di noi spettatori seduti ai bordi della scena. Occhi terrorizzati, ma anche stupiti per l’improvviso accadere di qualcosa che non si aspettavano.

Luconi è riuscito così ad affrontare con sensibilità un tema crudele e dolorosissimo, ma drammaticamente attuale. Ed ha anche arricchito le nostre anime dei bellissimi versi di Tahar Ben Jelloun, aiutando a scuotere le polveri dell’oblio: «Una volta che si è stesa una coperta di sabbia e cenere su migliaia di corpi anonimi, si coltiva l’oblio. È allora che la poesia si solleva. Per necessità».

Prato – Teatro Fabbricone, 30 gennaio 2015

Lorena Vallieri

DALLE CENERIdall’opera di Tahar Ben Jelloun; regia e scena: Massimo Luconi; costumi: Aurora Damanti; luci: Roberto Innocenti; musiche: Mirio Cosottini e Selif Keita; produzione: Teatro Metastasio Stabile della Toscana con la collaborazione di Centro culturale francese di St. Louis (Senegal), Associazione APPI, Comunità senegalese di Prato. Prima Nazionale.

Interpreti: Ibrahima Diouf, Ndiawar Diagne, Marie Madaleine Mendy, Mamadou Seye, Jean Guillaume Tekagne.

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