“Angelus Domini”, Carla Avarista
e le fatiche del vivere

Adelina è una di quelle persone che nascono sotto una cattiva stella e la consapevolezza di una vita costellata di abusi, fatiche, privazioni e umiliazioni fa il pari con la tenacia di non smettere di credere di poter invertire la rotta. Inutilmente: il fato vince sempre. Ma è proprio il supplizio di un’intera vita senza riscatto né ricompensa a trascendere un’esistenza da Sisifo per giungere al valore di un sacrificio finale che consegna – senza paradosso – la consolazione dei giusti e il riposo degli eroi che non fanno notizia.
Carla Avarista incarna con grande eleganza e precisione tutti i tormenti di quest’anima tenace e sventurata che senza mai troncare il languido cordone con la madre in un continuum di simbiosi solo femminile, passa dalla violenza di un uomo omicida alle malriposte speranze di riscatto affidate alla nascita di un figlio che non è convenzione biologica ma ultima (ed unica e reale) occasione di far sgorgare dalla durezza dell’esistenza gocce di gioia e di senso.
“Angelus domini”, andato in scena al TeatroSophia di Roma, trasla al femminile tutta l’inquietudine autobiografica di Francesco Maria Siani che sembra scrivere di getto una lunga partitura autorizzata ad interpolare spazi e tempi degli accadimenti del personaggio, pur senza mai disorientare lo spettatore, che la regia di Antonello Ronga sa trascinare empaticamente nella raffinata mimesi della sua interprete.
L’‘angelo del signore’ è un percorso immersivo e doloroso che arriva alle domande assolute, mettendo in dubbio certezze morali e sociali e lo fa attraverso la chiave del dolore. La catarsi, però, non è consolatoria; è un addendum di lucidità sul senso della vita e dei suoi forse vani scopi. Una mistica laica che trova nella crudezza della forma teatro il luogo e il momento ideali per far breccia nelle anestetizzate anime dei suoi spettatori.
Francesco Giannotti
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