Orazio Cerino – L’attore onnivoro in continua ricerca

 

Il bello di Orazio Cerino, da Giffoni Valle Piana, è che puoi incontrarlo in vesti clownesche ad ammaliare bambini, e tragico condannato a morte, risultando sempre credibilissimo. Merito, certo, di un viso a dir poco espressivo, ma soprattutto di un talento innato, eppure ancora da rivelare appieno. “Cominciai nel mio paese – ricorda – con i classici laboratori scolastici, e poi formando una mia compagnia. Il mio debutto, risalente ormai a 16 anni fa, fu con “Quei figuri di trent’anni fa” di Eduardo De Filippo, mentre come autore mi sono accorto, scrivendo “E non lo sa ancora”, che potevo funzionare. Da allora ho alternato le mie due attività, spesso anche come regista. I primi riconoscimenti sono arrivati con “Tre meno tre”, mentre con “Che ti passa per la testa?” ho capito di avere anche una scrittura dotata di vis comica”. Sperimentando sperimentando ecco l’esperienza a 22 anni con l’Università Popolare dello Spettacolo, e soprattutto l’incontro con Michele Monetta, nel 2008 (“è lui che mi ha cambiato il mondo”). Un altro incontro fatale è con il Teatro dell’Osso e Mirko Di Martino: “Lì ho imparato la convivenza tra il mondo del teatro per ragazzi, ad esempio in “Plautobus” e il teatro civile, come in “Il fulmine della terra”. Ma non ho disdegnato incursioni in altri tipi di teatro, come “Totò 110 e lode”, con Angela Luce, o “Libera” con Maria Nazionale, per la regia di Bruno Colella. Sono onnivoro e curioso”. E lo dimostrano gli esempi artistici (“amo Leonardo Di Caprio, e il nostro fantastico Peppino Mazzotta, ma anche un regista come Arturo Cirillo”) e le scelte solo apparentemente ardite (“Paragrafo 175” di Antonello De Rosa, “L’uomo, la bestia e la virtù” di Luigi Pirandello): “Vorrei che il pubblico uscisse da teatro con delle domande, non con delle risposte, per citare proprio Pirandello. Detesto le masturbazioni mentali e nel lavoro sono disponibile, ma anche esigente: voglio sempre sapere il perché delle cose, un po’ come i bambini”. Particolarmente fortunato l’incontro con Davide Sacco: “Con “Piccolo e squallido carillon metropolitano” ho vinto il premio come miglior attore alla Corte della Formica, mentre con “Condannato a morte” ho potuto affrontare un tema difficilissimo, che mi ha permesso di interpretare un uomo che, al di là della sua colpevolezza, aveva molto da raccontare. Una prospettiva scomoda, ma assai affascinante, premiata con il Naples in the world”. E a proposito di premi, come non citare la vittoria al Festival Le voci dell’anima, con lo spettacolo su Pasolini “Nel nome del padre”. Tra i colleghi giovani ama Eduardo Sorgente (“un vero talento”) mentre se deve pensare a qualche affetto determinante per la sua carriera non ha dubbi: “la mia compagna, Clelia, e la mia famiglia”. Preparando con cura la prossima sfida: “Amo tutti i limiti, perché sono superabili”.

Antonio Mocciola

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