Ridere è una cosa seria

Lello Marangio è umorista, autore, regista e sceneggiatore Napoletano che da oltre 30 anni scrive testi comici per teatro, cinema, radio, cabaret e televisione.

Autore di numerosi artisti come Peppe Iodice, Paolo Caiazzo, Lino Barbieri, I Ditelo Voi, i Teandria, Nello Iorio e Enzo Fischetti. Ha partecipato come autore di praticamente tutte le trasmissioni televisive comiche regionali e nazionali, da Zelig a Colorado, passando per Made in Sud, Comedy Central e tante altre.

 

Vincitore del Premio Lucio Rufolo 2019 con il libro “Al mio segnale scatenate l’infermo”. Nel 2020 “Una Lunghissima Giornata di Merda” altro successo di vendita con il quale Lello Marangio ha vinto il Premio Charlot per la Letteratura Umoristica.

Sguardo brillante e battuta sempre pronta. Parlare con Lello Marangio è un onore e un piacere, tra momenti di ilarità e attimi di profonda riflessione fatta sempre con un potentissimo sorriso.

-Sei autore, regista, sceneggiatore, scrittore in quale di questi ruoli riesci ad esprimere meglio tutta la tua creatività?

Negli ultimi 5 anni debbo dire che la maniera più soddisfacente con la quale riesco ad esprimermi sono i libri. A differenza di altro scrivere libri e una cosa che dipende solo da me e da quello che ho in testa. In fase di scrittura infatti puoi essere davvero te stesso, sei li col foglio bianco davanti e devi riempirlo seguendo solo il tuo gusto, la tua creatività senza nessun altro che ti condiziona o filtra le tue idee

-Quando nasce la tua passione per la scrittura umoristica?

In pratica c’è sempre stata, ma se vuoi un momento preciso ti dico a 13 anni. Alle medie, un giorno mancava un professore e per far passare il tempo mi misi a riscrivere tutto il codice stradale in maniera umoristica. Quando entrò il professore io ero talmente preso che non lo vidi proprio, lui si avvicinò a me, prese il quaderno e lo lesse. Rise tantissimo e mi chiese di tenerlo per farlo leggere agli altri nella sala professori.  E’ partito un po’ tutto da lì. Poi è venuta la scoperta dei libri di Paolo Villaggio nel 1977, quelli di Stefano Benni subito dopo e il mio innamoramento alla scrittura umoristica è stato totale.

-Esiste secondo te, oltre la tecnica, un segreto per scrivere testi umoristici di successo?

Il segreto esiste, ma ovviamente non te lo dico altrimenti che segreto sarebbe. Scherzo ovviamente. Il vero segreto è il fatto di esserci portato, di essere tagliato per fare l’umorista, di avere una predisposizione di base. Lo senti dentro che puoi riuscirci e queste credo che sia una cosa che succede per tutti i mestieri. Anche per fare il falegname devi essere predisposto, e la stessa cosa vale anche per fare la escort, per esempio, se non sei predisposta a farlo non ci riesci o ci riesci male e il cliente si lamenta. Poi il mestiere dello scrivere comico si affina negli anni, con l’esperienza, plasmi una tua tecnica personale e più scrivi più ti riesce bene farlo. Esattamente come per gli esercizi fisici, devi allenarti sempre altrimenti non hai energia per farli.

-Il tuo primo libro “Al mio segnale scatenate l’infermo”, è una divertentissima autobiografia che tratta temi profondi come l’invalidità e l’auto accettazione, cosa diresti oggi al Raffaele bambino che si vergognava di quella “diversità”?

Il bambino Raffaele che poi sarei io mi fa ancora una grandissima tenerezza. Non ti nascondo che rileggendo il mio libro spesso piango ancora. Ero indifeso a 7 anni e cercavo di combattere la mia guerra personale per non far scoprire al mondo che ero disabile. A quel bambino Raffaele, direi che ha fatto bene ad attraversare la Domiziana carponi per non svelare agli altri la sua diversità. Gli direi bravo Raffaele, grazie a te e a quei tuoi comportamenti ora sono l’uomo che sono. Disabilmente forte e, quando è il caso, pronto a scagliare in faccia a tutti con orgoglio la mia disabilità.

-Tu sei autore per grandi nomi della comicità, artisti tra loro molto diversi, come riesci a trovare la chiave giusta per la comicità di ciascuno?

Il comico più ha talento più sa quello che vuole e io più capisco subito quello che va bene per lui. Faccio questo mestiere ormai da 35 anni, ho collaborato con tanti comici; non lavoro con chiunque ma solo con quelli con i quali a pelle sento di avere un forte feeling. Debbo sentire un prurito comico, se non lo sento glielo dico e non collaboro. Con quelli per i quali poi decido di scrivere divento un sarto, che taglia e cuce addosso il vestito più adatto a lui.

-Nel processo creativo dei testi comici hai un tuo personale test dell’efficacia delle battute prima di darle in pasto al pubblico?

Si. È un processo complicato e nello stesso tempo molto semplice. Il test è dentro di me. Senza sembrare presuntuoso ti dico che io sento immediatamente se un monologo, un pezzo, una battuta o addirittura un plot di una commedia funziona. Sento anche se sto andando fuori strada, me ne accorgo subito e allora cambio strada o quella tal cosa non la propongo propri. E questo con chiunque.

-La politica e l’attualità sono pane quotidiano per l’umorismo, c’è un limite da non valicare nell’affrontare queste tematiche?

La comicità è uno stato d’animo semplice, spontaneo che quando c’è zampilla fuori subito. Non deve essere né forzata né artefatta. La volgarità, l’inciviltà che a volte viene fuori da alcune parole o intere frasi buttate lì tanto per far ridere. Le male parole dette ad effetto tanto per scaturire una risata. Per me il limite è questo e spero di non averlo mai superato.

– Nel tuo secondo libro “Una lunghissima giornata di merda” racconti dieci storie di personaggi che in modi differenti vivono una giornata “NO”, come è nata quest’idea?

L’idea venne fuori quando fui proprio io a rischiare di trascorrere una lunghissima giornata di merda. Rimasi per quasi 2 ore bloccato in una delle gallerie della Tangenziale di Napoli e stavo per perdere un appuntamento importante con il mio editore Aldo Putignano della Casa Editrice Homo Scrivens. Quando poi riuscì ad incontrarlo gli portai anche l’idea che mie era venuta proprio sotto quella galleria che da maledetta passò subito a benedetta.

-Quanto pensi sia importante l’umorismo nell’affrontare le piccole grandi problematiche della quotidianità?

Moltissimo. Umorismo a mio parere è anche sinonimo di ottimismo perché uno che riesce a ridere di quello che gli succede deve essere per forza un ottimista. Il problema lo tieni lo stesso ma affrontarlo cercando di trovare l’aspetto comico ti aiuta a risolverlo e ti fa stare meglio. Umorismo e ottimismo però sono una cosa, la faciloneria e l’imperizia sono tutt’altro. Meglio i primi due.

-C’è un’artista tra i tanti con cui hai collaborato a cui sei particolarmente legato?

Se me ne chiedi uno in particolare ti dico subito Peppe Iodice senza pensarci neanche sopra. Se ne posso citare qualcun altro ti dico Lino Barbieri e per le commedie Lucio Pierri.

 -C’è qualcuno con cui invece non sei riuscito a trovare feeling creativo?

Si, qualcuno c’è e gliel’ho detto anche. Sono sempre chiaro e netto nelle mie cose. Come fra un uomo ed una donna, a volte, l’innamoramento non scatta, anche fra me ed un comico a volte l’innamoramento non scatta, non sento quel prurito che io ritengo essenziale.

– La prima cosa che farai appena sarà nuovamente possibile vivere il teatro?

Andrò a Mondragone, sul lungomare, dove vado sempre. Mi siederò sul muretto dove mi vengono le idee e, in attesa di nuovi pensieri, ringrazierò Dio di averci liberato da questa brutta pandemia.

La risata è la conseguenza immediata della comicità, la risposa a quel senso di bizzarro e opposto da ciò che dovrebbe essere. L’umorismo è invece per definizione un sorriso consapevole, colmo di riflessione. L’umorismo è realtà, ma presa con la leggerezza di chi sa godersi la vita. Lello Marangio da oltre 30 anni riesce con maestria a farci riflettere con un sorriso luminoso stampato sul viso.

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