Fabrizio Gifuni

Fabrizio Gifuni: “Con il vostro irridente silenzio”

Gli ultimi cinquantacinque giorni di Aldo Moro

Va in scena a Firenze, al teatro della Pergola, “Con il vostro irridente silenzio”. In una performance a metà tra reading e spettacolo vero e proprio, Fabrizio Gifuni rievoca i cinquantacinque giorni di prigionia – nonché gli ultimi – dell’allora segretario della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Il 9 maggio 1978 il politico sarà ritrovato morto dentro il bagagliaio di una Renault 4 rossa.

Un anno dopo il muro di Berlino cade anche il muro di cartongesso della casa che fu anche prigione di Moro. Furono qui ritrovate, insieme ad armi e soldi, le fotocopie delle sue carte autografe. Gifuni parte proprio da queste per restituire quasi didatticamente una storia tenuta a lungo celata. Un uomo «a cui non è stata data degna sepoltura», afferma l’attore, torna come un fantasma a infestare la storia, il presente, le sale teatrali.

Un esperimento teatrale

Prima dell’inizio dello spettacolo l’attore-regista-drammaturgo fornisce al pubblico (composto anche da studenti di liceo), poche ma utili coordinate storiche. Esprime poi gli intenti del suo «viaggio a ritroso» basato sulle «carte di Moro»; e si chiede se abbia ancora senso leggere simili documenti o se invece non siano ormai altro che sostanza morta e priva di vita. “Con il vostro irridente silenzio” non è uno spettacolo per tutti: prevede un (non scontato) pubblico informato, disposto all’ascolto, non cercatore di intrattenimento.

 

La messinscena

Fabrizio Gifuni

Registicamente parlando, l’allestimento è forse un po’ povero: il palco è spoglio; la scena è composta da una pedana nera in declivio, una scrivania, fogli sparsi sul pavimento: elementi già visti. La luce ha funzione drammaturgica ma si sente la mancanza di una colonna sonora. Tuttavia la monotonia e il silenzio, riempito esclusivamente da una voce insistente, ora sibilante, ora strozzata, ora in preda a un ritmo incalzante, sono emblemi di un uomo prigioniero, conscio della propria fine, che in quel “covo” prova – è comprensibile – emozioni contrastanti. La lettura dell’attore, sebbene basata su un solido studio storico-filologico, si nutre di idee personali che emergono dalla scelta dei toni.

Tristezza

La scrittura di corrispondenza, memoriale e testamenti è esito dei sentimenti provati da Moro durante quei cinquantacinque giorni. Intimità e affetti familiari si intrecciano con idee e ipotesi politiche, risentimenti, sofferenze. Il pubblico non è chiamato tanto a emozionarsi quanto a prendere coscienza. La luce di scena tiene viva l’attenzione sui repentini cambi di emozione. La tristezza è forse quella dominante: decaduto l’impegno politico, nasce un uomo impotente, malinconico, tenero. Sembra che niente abbia più senso eccetto la memoria e gli affetti famigliari.

Rabbia

Quello che più lo ferisce è l’essere considerato non sano di mente. Nei suoi scritti Moro ribadisce svariate volte di essere nel pieno delle sue facoltà mentali; la sua scrittura, afferma, può non essere apprezzata nello stile; la sua calligrafia schizofrenica, viziata da quella relegazione ingiustificata che lo tiene lontano dagli affetti; il contenuto è tuttavia frutto dell’uomo e del politico che è sempre stato. Il suo risentimento colpisce anche la stampa italiana, dominata da poche testate che concorrono alla chiusura del «mercato delle opinioni».

Disgusto

Dimenticato da amici, colleghi, compagni di partito, Moro viene ferito e ucciso più volte. Si dichiarerà infine deciso di non far più parte della DC, estraneo al partito, alla politica, secondo una svolta ideologica di stampo epicureo. La storia, minaccia Moro, porterà con sé il delitto di cui è prossima vittima. L’Italia, un paese democratico, ha fatto un salto indietro, reintroducendo la barbara pena di morte.

Gioia

L’unico rifugio possibile è quello degli affetti familiari. Moro scrive soprattutto alla moglie, evocata come fedele compagna, amante e amica. Particolarmente toccanti le lettere ai figli, Agnese, il più piccolo Giovanni – al quale scrive di studiare, pregare e operare per il bene – e al nipotino Luca, a cui lascia una sorta di testamento, forse il più prezioso: il ricordo del nonno.

Paura

Fabrizio Gifuni

La morte a un certo punto sembra imminente. Dalla lettura di Gifuni trapela urgente la richiesta di aiuto del protagonista, ai colleghi ma anche, in ultima istanza, al papa, alla moglie, alla fede cristiana. Ai colleghi che lo hanno abbandonato chiede di non presenziare al suo funerale. Non sarà così. Semplici ma notevolissimi l’entrata e l’uscita di scena, l’incarnarsi dell’attore-interprete nell’uomo-personaggio tramite un lento retrocedere nel buio della scena e la graduale dissolvenza in nero su Gifuni-Moro che osserva, in una foto d’epoca proiettata sullo sfondo, l’ipocrisia delle sue esequie.

 

Firenze – TEATRO DELLA PERGOLA, 20 gennaio 2022.

Benedetta Colasanti

CON IL VOSTRO IRRIDENTE SILENZIO – Ideazione e drammaturgia: Fabrizio Gifuni; si ringraziano: Nicola Lagioia e il Salone internazionale del Libro di Torino, per la collaborazione: Christian Raimo, per la consulenza storica: Francesco Biscione e Miguel Gotor; produzione: Cadmo Associazione Culturale; fotografie: Musacchio, Iannello, Pasqualini.

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