Davide Forte e l’attualità di Paul Claudel
“La sua visione poetica ci avvince ancora”

Tra i primi spettacoli a prendere vita dopo la riapertura dei teatri, “L’annuncio a Maria”, al Teatro Ghione di Roma, sarà diretto da Davide Forte, 36 anni, romano, con cui parliamo a pochi giorni dal debutto dello spettacolo.

“L’annuncio a Maria” ti vede nelle vesti di regista. Come ti approcci a quest’esperienza? Prevale di più l’entusiasmo, l’ansia o l’incoscienza?

È stata una sorpresa anche per me, trovarmi a lavorare su un’opera teatrale così imponente, in un periodo difficile come questo. Amo giocare con le varie arti e per ogni medium espressivo e comunicativo, approfondirne i limiti e le peculiarità.

Il montaggio nel cinema ci permette di avere un maggior controllo sul punto di vista dello spettatore, un po’ come se potessimo fisicamente sradicare le poltrone dalla sala per avvicinare il pubblico all’attore o portarlo in giro sul palco a differenti velocità.

A teatro lo spettatore ha maggiore libertà e per il regista il lavoro con l’attore è più viscerale e l’approccio più pedagogico, almeno dal mio punto di vista.

Come per tutti coloro che amano le sfide, prevale sicuramente in me l’entusiasmo. Ma è inutile negare la presenza della sua instancabile antagonista: l’ansia. Quanto all’incoscienza, sebbene mi consideri un fervente ricercatore della coscienza, non nascondo che spesso la uso come arma.

Il lavoro del regista è molto stressante, specialmente quando si lavora in piccole produzioni; così, avere la possibilità di essere consapevolmente incoscienti per una o due ore, è un’arma potente che ti permette di dimenticare per un attimo tutto e fare, o non fare, altro.

Come é nata l’idea di portare in scena un testo così controverso in questi anni così aridi?

Anna Vercors, personaggio del testo, si domanda: «Quale dei due vasi riceve di più, quello ch’è colmo o quello ch’è vuoto? E chi ha più bisogno d’acqua, la cisterna o la sorgente?».

In modo analogico, parafrasando il testo, potremmo anche noi domandarci: ha più bisogno di luce una stanza completamente buia o già lievemente illuminata? Non è forse proprio in momenti di crisi come questi, quando la nostra cisterna si sta inaridendo, che abbiamo bisogno di nuovi stimoli? E senza la sorgente dell’Arte, come si può sperare che queste cisterne nuovamente si riempiano?

È sicuramente un testo controverso, ricco di espressioni e domande come questa, che ci fa riflettere. Detto ciò, consapevole del periodo storico e della necessità di allegria e leggerezza da parte delle persone, ho cercato di rielaborare il testo originario per renderlo godibile anche per chi ha solo il piacere di staccare un attimo la spina ed immergersi in un’atmosfera magica per un paio d’ore, per cercare quella “incoscienza” di cui parlavamo prima;

e chissà, magari proprio in questo stato di spensieratezza, lasciare che lentamente in lui/lei fiorisca qualcosa di nuovo.

E’ ancora attuale la poetica di Paul Claudel nel 2021?

Non conoscevo bene Paul Claudel, è stato un amore a prima lettura. Come spesso accade, ho
sentito che le nostre vite si assomigliavano, così come ciò che ci anima: il profondo desiderio di
conciliare i piaceri della vita terrena con i bisogni dell’anima, la ricerca di ciò che è imperituro ed
eterno; quel qualcuno che, come direbbe Paul Claudel, «sia dentro di me più me stesso di me».

Credo che la sua poetica sia attuale più che mai.

È un’opera straordinaria, piena di simboli cristiani,
archetipali e alchemici, che cambia e ti cambia già solo lavorandoci sopra, rileggendola e
studiandola più volte.

È moderna perché è un’opera sincretica che cerca di conciliare gli opposti, di
unire anziché dividere; è controversa anche perché comunica spesso attraverso parabole, proprio
come scrive Matteo nel Vangelo, in modo che le persone «pur vedendo non vedano, e pur udendo
non odano e non comprendano» (Mt 13,13).

Credo che la sua poetica sia attuale più che mai. È un’opera straordinaria, piena di simboli cristiani, archetipali e alchemici, che cambia e ti trasforma già solo lavorandoci sopra, rileggendola e studiandola più volte.

È attuale perché è un’operazione sincretica che cerca di conciliare gli opposti, di unire anziché dividere; è controversa anche perché comunica spesso attraverso parabole, proprio come scrive Matteo nel Vangelo, in modo che le persone «pur vedendo non vedano, e pur udendo non odano e non comprendano» (Mt 13,13).

Ma se ci ricordiamo e iniziamo a credere che «ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso», come riportato sulla Tavola di Smeraldo, allora sì che correremo il rischio di dire: «La luce risplende nelle tenebre e le tenebre (forse) l’hanno accolta» (Gv 1,5).

Quale attore ti piacerebbe dirigere, potendo puntare anche in alto?

Senza pensarci troppo, istintivamente, ti direi Toni Servillo. Poi ce ne sono moltissimi altri sia nel campo cinematografico che teatrale: Pierfrancesco Favino, Margherita Buy, Jasmine Trinca, Luca Marinelli, Anna Foglietta, Elio Germano, Laura Morante, Alessandro Borghi, Mariangela D’Abbraccio.

Per non parlare delle tante celebrità di Hollywood: Joaquin Phoenix, Willem Dafoe, Nicole Kidman, James McAvoy, Emma Stone, Keanu Reeves, Natalie Portman, Jennifer Lawrence, Jack Nicholson e Leonardo DiCaprio.

Come hai vissuto questo lungo tunnel del covid e come pensi reagirà il mondo del teatro, e il pubblico?

È stato inaspettato, come quando mentre stai guardando un film scatta la corrente e ti ritrovi al buio. Mi trovavo a Los Angeles in quel periodo e nel giro di poco tempo sono stato costretto a tornare in Italia.

Questa pandemia ha segnato, in modo spesso indelebile, la vita di molte persone e per questo cerco sempre di essere prudente e rispettoso quando ne parlo. Io personalmente mi ritengo fortunato, ho avuto la possibilità di utilizzare quest’assenza di luce per pensare di più a me stesso e sfruttare questo silenzio per meditare.

Si può essere creativi in moltissimi modi; per me l’Arte è qualcosa che trascende il manufatto o il prodotto audiovisivo, è il bisogno di bellezza, un’esigenza di sublimarsi che permea l’intera vita.

Ma è altresì indubbio che il nostro tessuto sociale e culturale è stato profondamente intaccato: molte persone sono rimaste senza lavoro e tutto questo ha limitato che tutti questi beni e valori venissero condivisi.

Il teatro, così come il cinema e tutto il settore dello spettacolo hanno pagato un conto salatissimo. Spero vivamente che la rappresentazione de “L’Annuncio a Maria” che porteremo al Teatro Ghione di Roma, il 22 e 23 maggio di quest’anno, possa davvero rappresentare il segno di una ripartenza, e chissà, magari, anche il seme di una Rinascita.

 

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