Emanuele D’Errico<brIl corpo, l'anima, il volto

Se c’è un nome sul quale scommettere nell’effervescente palestra attoriale che è Napoli, questo è Emanuele D’Errico. Classe 1995. Piccolo di statura, sguardo mobile e vivace, funambolico e travolgente in scena, Emanuele è un perfetto pachtwork degli insegnamenti di Ettore Nigro, Massimo Maraviglia, Caterina Leone. A cominciare da “Uccelli quasi senza parole” di Mimmo Grasso e lo stesso Maraviglia, in cui la scattante fisicità di Emanuele ha lasciato il segno: “E pensare – ricorda – che in quello spettacolo ho sostituito all’ultimo momento un attore che era venuto meno. E’ stata un’esperienza molto dura, Massimo mi dava gli input per il personaggio, e io ci lavoravo sopra. Soprattutto la scena finale mi ha toccato molto, e credo abbia colpito molti“. Con Maraviglia e Grasso Emanuele aveva già lavorato in “Taranterra”, ma tanti sono stati gli incontri importanti sul suo percorso: “Ho frequentato un corso di cinema che mi ha consentito di conoscere una persona importante come Antonio Veneziano, ma non posso certo dimenticare Mimmo Borrelli, con cui ho avuto un’esperienza molto intensa“. Tanto talento non poteva approdare che a qualcosa d’importante, come l’ingresso all’Accademia dello Stabile di Napoli. “Da lì – racconta Emanuele – è stata una escalation di emozioni. Ho partecipato al Pigmalione per la regia di Benedetto Sicca, a Testimone Oculare di David Jentseng con il quale andremo in Germania e poi sono stato preso da Arturo Cirillo per Liolà che andrà in scena al San Ferdinando dal 19 al 30 ottobre. E inoltre sto lavorando a un testo monologo scritto da me con la regia di Ettore Nigro che dovrebbe andare in scena stagione prossima“. E poi, come se non bastasse, uno sguardo al sociale, con l’Associazione Culturale Onlus “Adda passa ‘a nuttata” , di cui è co-fondatore: “Abbiamo l’obiettivo di affrontare su scala cittadina le tematiche della legalità, dell’ecosostenibilità e del volontariato“. Si definisce “sensibile, testardo e irrequieto”, adora Toni Servillo, Massimo Popolizio e Fabrizio Gifuni (gusti tutt’altro che scontati per un ventunenne) e sulle sue impellenze non ha dubbi: “La mia necessità è fare teatro, ho bisogno di forti stimoli per stare in scena. In questo senso l’esperienza biennale con Teatro Dissolto è stata importantissima“. E il corpo, che Emanuele così bene sa usare in scena, torna ad essere protagonista: “L’attore è una persona che prende forma diversa di volta in volta, voglio aderire perfettamente a tutto quello che faccio in quel momento“. Perchè il destino, specie se radioso come in questo caso, dicevano i fisiognomici, è scritto sul corpo.
Antonio Mocciola

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