Una sala stracolma d’affetto (e non una sala qualunque, bensì l’avveniristica Nuvola all’Eur di Roma) ha celebrato un’Artista che il mondo ha conosciuto solo in parte, Giuni Russo. Rileggere le pagine di un repertorio lungo quasi quanto la sua vita, avendo cominciato minorenne, presenta insidie e difficoltà soprattutto se si pensa alla sua inarrivabile vocalità. Ed è per questo che gli interpreti intervenuti a questa indimenticabile serata hanno, quasi tutto, scelto altre chiavi, saggiamente.
Aperta (e chiusa) dalla vigorosa interpretazione attoriale di Pamela Villoresi, lo spettacolo ha avuto il merito di non sprecare parole inutili di un presentatore tra un ingresso e l’altro, lasciando alla musica – giustamente – il centro della scena. A cominciare dal video della silhouette di Giuni, che accenna “Malinconia” di Bellini, e che Paolo Fresu, assente dell’ultima ora, avrebbe dovuto interpretare. Il soprano Laura Coltrani ha offerto una intensa interpretazione della donizettiana “La zingara”, che Giuni inserì nel suo album più sorprendente, “A casa di Ida Rubinstein”, ripescando poi a sorpresa “Una sera molto strana”, in una versione prorompente è più che mai attuale. Il quartetto d’archi della ForliMusica Orchestra e gli altri sei ottimi musicisti hanno accompagnato degnamente la Coltrani, e la sua ottima vocalità ha fatto il resto.
E a proposito di vocalità, Mario Incudine, con Antonio Vasta al piano, affronta con piglio “Strade parallele”, cui il titolo dello spettacolo accenna (“Voci parallele”). E la commozione porta a chi, in questo brano, duettò con Giuni: l’immenso Franco Battiato.
Antonella Ruggiero interpreta due brani meno noti alla massa, curiosamente entrambi dai suoni ispanici nel titolo: “Moro perché non moro”, intriso di un misticismo che Battiato rivestì di arrangiamenti elettronici, e che spesso Giuni dal vivo “svestiva” con eleganza, e “Para siempre”, pubblicata postuma e che l’autrice offrì invano ad un’interprete italiana evidentemente poco audace. Per la Ruggiero, che spesso veniva accostata a Giuni (tutto sommato, impropriamente) standing ovation del pubblico.
Un lampo di splendida vocalità lo offre a sorpresa (ma solo per chi non lo conosce) Filippo Graziani, figlio dell’indimenticato Ivan, che canta e suona magistralmente “Sere d’agosto”, mentre Ron interpreta alla sua maniera un brano elevatissimo e poetico come “Le contrade di Madrid” (in cui emerge, discreta, la voce di Giuni).
Il momento forse più potente della serata lo offre Dulce Pontes, che torna a cantare Giuni con le mistiche “O vos omnes” e “Nada te turbe”: una cantante straordinaria, ma il suo incandescente talento non offusca la sensibile e intensa interpretazione.
La scanzonata Irene Grandi (vestita, va detto, malissimo) interpreta gioiosamente, comme il faut, “Alghero” e “Mediterranea”, ammettendo di non aver mai conosciuto Giuni (“e si vede”, sibila velenosamente qualcuno in platea). La sua vitalità rende però piacevolissimi due brani molto, ma molto, legati all’interprete originale. Schivato, di un soffio, l’effetto karaoke. Irene Grandi merita, eccome, di tornare al centro del panorama musicale italiana, col suo repertorio.
Arisa sbaglia l’attacco di “Illusione”, ma a una voce così – qui emozionatissima, e forse per questo poco divertita – si perdona tutto. “Un’estate al mare” fa esplodere la Nuvola. La cantante lucana ha senza dubbio la vocalità più cristallina e pulita d’Italia, in questo momento storico.
Il pianoforte di Roberto Cacciapaglia racconta in note quello che il musicista aveva detto poco prima a voce. Ovvero l’incontro con Giuni e Battiato ai tempi di “Morirò d’amore”, che incendiò la platea di Sanremo nel 2003, vincendo il premio come miglior arrangiamento (di Battiato e Colombo), e di cui Cacciapaglia curò la parte pianistica. Lo stesso brano lo canta, con un video oltreoceano, Tiziano Ferro, che già lo incise nel suo album di cover. Può piacere o meno la sua enfasi vocale, ma l’artista di Latina ha avuto, tra tutti, le parole più dolci e accorate nei confronti di Giuni. Quando uscì “Un’estate al mare”, nel 1982, Tiziano nasceva.
Uno dei picchi della serata lo offrono Simone Cristicchi e Amara, che nell’arabeggiante e sublime “Vieni” si esprimono al meglio, con suoni pieni e vocalità perfettamente a fuoco. Meno coinvolgente l’intervento solista della cantante in “Limonata cha cha”, un po’ tirata via. Ma lo humour di Giuni, in un brano che lei stessa amava poco, era inarrivabile.
Rita Pavone, che di Giuni incise anche un brano nei lontanissimi anni ’70, smarrisce qualche verso della frenetica – e difficile da cantare – “Adrenalina” (la Rettore, lì, era giustissima), ma poi si riprende con un brano giustamente rispolverato (“Con te”) e spende bellissimi ricordi per l’amica di un tempo. Alla soglia degli 80 anni, la Pavone è un esempio di stile, di vita e di audacia. Chapeau.
Molto originale l’intervento vocale dei Tenores di Neoneli, che rileggono “La sposa” in lingua sarda. Una terra che Giuni amava follemente, e che ha abitato per tanti anni, nella Gallura meno smagliante, e lontanissima dai trionfi kitch dell’Aga Khan. Viene in mente De André, ma soprattutto Maria Antonietta Sisini, di Sorso, seduta in prima fila, e – immaginiamo – ben fiera di una serata di altissima temperatura artistica, e che lei stessa ha organizzato con la stessa amorevole cura con cui, da vent’anni, si occupa del repertorio della donna cui è stata accanto, in arte e in affetti, per 36 anni.
Se vengono alla mente, come sempre in questi casi, gli assenti (Giovanni Caccamo, che tanto accoratamente cantò “La sua figura”, Rachele Bastreghi, che ha osato affrontare “Crisi metropolitana”, la stessa Rettore, Iva Zanicchi e Cristiano Malgioglio, con cui Giuni collaborò), non si può non ritagliare un pensiero speciale all’Artista che meglio di tutti ha saputo interpretare un brano di Giuni, nella fattispecie “A cchiù bella”: Alice. Ultima erede di quello che potremmo definire il “Mondo Battiato”, la cantante forlivese, ora settantenne, offre un pensiero dolce e sentito dell’ultima Giuni, cui dedica anche “L’addio”. Se queste serate hanno un senso – e ce l’hanno eccome – è in momenti come quelli affidati ad Alice che se ne coglie l’essenza. Non servono acuti sparati a mille (“La testa ci vuole per cantare, non la voce” – ammoniva la stessa Giuni), è l’Anima che conta.
Ed è propria lei a cantarci “La sua figura”, mandata in video con immagini di repertorio, a chiudere una serata DI Giuni, non PER Giuni. Perché lei c’era, in ogni nota, in ogni pensiero, in ogni silenzio.
E manca, tremendamente manca.
Antonio Mocciola