Verso Medea, Focu de raggia

Una scena vuota, cinque sedie sul fondo, una luce perlopiù fioca, alla destra dello spettatore degli strumenti musicali, questo lo spazio in cui si muove la Medea dantiana.

La drammaturga e regista siciliana affronta il mito di Medea – l’opera è del 2003 – partendo da Euripide, consapevole di trattare una materia più e più volte rimaneggiata; lo fa con delicatezza, dando alla protagonista un’inattesa umanità. Medea è una donna ferita, tradita e innamorata dell’uomo da cui attende un figlio. La scaltrezza – reale significazione e  traduzione del suo nome – si trasforma in istinto e irrazionalità. Medea si trova in terra straniera, ma il suo senso di estraneità ha ben altro spessore, tanto da ricordare  quello di Mersault, estraneità di fronte ai gesti che compie, di fronte alle persone, di fronte alla vita, la quale le scorre addosso senza che lei ne acquisisca contezza. Le donne di Corinto – tutte rigorosamente interpretate da uomini – additano Medea come una donna strana – l’attrice Elena Borgogni, rende questa stranezza soprattutto con gli occhi, sempre inafferrabili – hanno paura di un suo gesto inconsulto, si preoccupano per lei, l’aiutano a partorire, ma nonostante ciò lei non è parte integrante di questo gruppo di comare, non solo perché lei è una donna fertile e loro delle zitelle sterili, ma proprio perché non possono capirsi, parlano ma non c’è comunicazione, la protagonista crede che solo il suo uomo la comprenda, ma Giasone – un sempre impeccabile e versatile Carmine Maringola – è un gradasso vanaglorioso che non conosce altra parola che non sia “io”. Il fondo della scena rimane sempre al buio, chi si siede assiste a ciò che avviene sul proscenio. Le comare – Carmine Maringola, Salvatore D’onofrio, Sandro Maria Campagna, Roberto Galbo, Davide Celona – tutte vestite di nero, si muovono in sincrono, reiterano gesti e battute, parlano alternativamente il siciliano o il napoletano, dando alla messinscena un tocco vernacolare che non disturba perché senza sbavature e studiato al dettaglio. I fratelli Mancuso, agli strumenti: liuto, ghironda a bordone, harmonium; con le loro musiche e canti svolgono l’antica funzione di coro, un coro popolare e malinconico. Gli unici colori che appaiono sulla scena sono legati al nascituro, i vestiti che Giasone gli ha donato sono foulard coloratissimi che le comare fanno fluttuare in aria, e lo stesso bambino non sarà altro che un plaid patchwork, e la scena si illumina solo nel momento della nascita, tutto il resto è oscurità.

Verso Medea non è la solita regia di Emma Dante, la corporeità degli attori che riempie lo spazio scenico dando vita a immagini memorabili cede il posto a una più studiata linearità e a una parola inarrestabile, la messinscena non perde però mai in immediatezza e intensità.

Mariarosaria Mazzone

Napoli Teatro Festival Italia

Teatro Bellini

10/07/2016

SPETTACOLO-CONCERTO DA EURIPIDE
TESTO E REGIA EMMA DANTE
CON ELENA BORGOGNI, CARMINE MARINGOLA, SALVATORE D’ONOFRIO, SANDRO MARIA CAMPAGNA, ROBERTO GALBO, DAVIDE CELONA
MUSICHE E CANTI FRATELLI MANCUSO
LUCI MARCELLO D’AGOSTINO
PRODUZIONE
COMPAGNIA SUD COSTA OCCIDENTALE/PALERMO

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