Spettacolo dalla lettura controversa quello del “Don Giovanni” di Roberto Cavosi.
La scena si apre su una cella di una prigione californiana dove il nostro Don Giovanni, nel tipico abbigliamento carcerario americano, effettua un viaggio mentale tra gli eventi che lo hanno condotto fin lì. Un viaggio “surreale ed utopistico” agli occhi dello spettatore in quanto figlio di tempi troppo distanti tra loro. Don Giovanni si presta ad enucleare le sue gesta amatoriali partendo dalla fine dell’800 fino ad arrivare alla California di Schwarzenegger, passando per la tratta delle schiave sulle rive del fiume Nilo e per la Shanghai coloniale degli anni ’30.
Roberto Cavosi offre una rilettura azzardata del Don Giovanni a cui tutti siamo drammaturgicamente affezionati, accompagnato dalle musiche eseguite al pianoforte da Alessandro Sgobbio. La performance di Cavosi emerge vigorosa, contraddistinta da una vocalità ipnotica e spiccata, arricchita dalla passionalità tipica del personaggio e dal suo linguaggio immorale ai più, ma la motivazione alla base del suo adattamento testuale non arriva con la stessa efficacia.
Emerge chiaro che si vuole dar vita ad un Don Giovanni che non trova una precisa allocazione temporale o storica, ma che elargisce la sua ars seduttoria con la stessa modalità nei diversi luoghi in cui approda, operando la continua predazione di favori sessuali. Un personaggio che vuole rimanere immortale nell’immaginario collettivo perché, come egli stesso enuncia sulla scena, “ero seduttore per non morire mai e morire al tempo stesso sulle labbra della mia amante”. Questa diviene l’immagine che meglio rappresenta il Don Giovanni di Cavosi!
Roma, teatro Argot Studio, 23/01/2014
Alessia Coppola