“Ubu Roi”: la nuova patafisica di Roberto Latini

Al Teatro di Rifredi l’opera di Alfred Jarry nella riproduzione dalle soluzioni immaginarie della compagnia Fortebraccio Teatro.

‹‹Chi ha mai osato chiedere conto a un Re delle proprie azioni?››. La giusta provocazione che con crasso umorismo introduce le vicende di uno dei più famosi personaggi del drammaturgo francese Alfred Jarry, “Ubu Roi”, in scena al Teatro di Rifredi dal 15 al 19 novembre per la regia di Roberto Latini. Rappresentata per la prima volta il 10 dicembre del 1896 al Théậtre dell’Œuvre di Parigi, quest’opera riesce a mescolare svariati registri. Attraverso la farsa, la parodia e il teatro dell’assurdo svela un gioco gaudente, unico nel suo genere, precursore del movimento surrealista che inaugura una nuova corrente artistica, la patafisica, la scienza del nonsenso, dell’ironia e delle eccezioni. Ci troviamo in un Paese leggendario, ‹‹in Polonia, cioè da nessuna parte››, dove incontriamo i paladini della pièce, Padre Ubu «capitano dei dragoni, officiale di fiducia di re Venceslao, decorato con l’ordine dell’aquila rossa di Polonia, ex re d’Aragona, conte di Sandomir››, e Madre Ubu. Ad incarnare le sembianze dei due protagonisti, due bravissimi attori, Ciro Masella nel ruolo della dissacrante consorte Ubu e Savino Paparella, marito vizioso e stravagante, entrambi geniali caricature dai doppi sensi semantici esilaranti, come lo sbracato ‹‹Merdre›› iniziale, che celebra i toni vivaci e mordaci dell’intera storia.

La pièce vede a poco a poco il susseguirsi di grottesche vicende, nelle quali Padre Ubu uccide il re Venceslao e s’impadronisce del trono per poi uccidere tutti i nobili e pure coloro che l’avevano appoggiato. Così il principe Bugrelao, ex erede rimasto ormai orfano, spera di riconquistare il regno di suo padre, tramando una sanguinosa vendetta contro Roi Ubu. Ma ad accrescere lo stile raffinato dell’opera, Latini introduce una nuova figura che appare inaspettatamente in un angolo del palco “libero dalle frasi… e quindi libero dai concetti”: è Pinocchio di Carmelo Bene con le catene al collo, déjà vu catapultato nel qui e ora ad incontrare la Familie Ubu al completo. Ad impersonarlo lo stesso Latini con timbrica e mimica ricercate, capaci di proiettare pubblico ed attori ad un rendez vous interattivo fuori dal tempo presente, che manifesta  una sincera riflessione sull’arte teatrale. Liberandosi “dall’Io tirannico della rappresentazione stessa” il nostro Pinocchio, e Latini con lui, ci ricordano come sia irrinunciabile accostare il teatro alla vita. In questo gli Ubu e le loro metamorfosi sceniche si svincolano dal solito conformismo formale che siamo abituati a vedere, mostrandoci nuovi espedienti possibili da sperimentare.

Quello di Latini si presenta subito come uno spettacolo di sostanza, sferzante e travolgente, nonché artefice di una singolare omeostasi tra figure proposte, testo e scena. Un susseguirsi di creatività ed originali parallelismi letterari mai scontati, da Jarry che scrive a Shakespeare che si fonde in lui, entrambi traghettati ad una dimensione intima e familiare. Una drammaturgia fresca ed innovativa che non ha paura di abbracciare mondi diversi di sentire il teatro, vissuto dal regista e dalla sua compagnia come espressione di libertà, come “declinazione” e “condivisione”, che sta al passo col suo pubblico, tenendolo per mano e responsabilizzandolo a non accontentarsi.

FIRENZE – TEATRO DI RIFREDI, 16 novembre 2016.

Mara Marchi

UBU ROI Regia: Roberto Latini; Produzione: Fortebraccio Teatro; Scenografia: Luca Baldini; Musiche: Gianluca Misiti; Costumi: Marion D’Amburgo; Luci: Max Mugnai; Interpreti: Roberto Latini, Savino Paparella, Ciro Masella, Sebastian Barbalan, Marco Jackson Vergani, Francesco Pennacchia, Guido Feruglio, Fabiana Gabanini.

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