Secondo appuntamento con la trilogia che il Teatro Stabile di Napoli, da poche ore inserito nel novero dei Teatri Nazionali italiani, dedica per questa stagione all’opera di Anton Cechov. Dopo la versione firmata dal Direttore Luca De Fusco de “Il Giardino dei Ciliegi”, andando cronologicamente a ritroso nella produzione cecoviana, ecco che tocca ora a “Le Tre Sorelle”, portato in scena dalla medesima compagnia ma con la regia di Claudio Di Palma, che del “Giardino” era interprete nel ruolo di Lopachin.
È “”Tre sorelle”, forse, il testo più complesso tra quelli usciti dalla penna del drammaturgo russo, per lo svolgimento, che si dipana nel corso di cinque anni, e per la letterarietà, che qui raggiunge vette altissime. Qui, più che altrove, nella drammaturgia del’autore, viene infatti amplificata la portata dei monologhi, attraverso finti dialoghi che sono sempre più un pretesto per far sì che i personaggi si raccontino (senza essere quasi mai ascoltati) e filosofeggino sulla vita, attraverso i temi cari al nostro: ambizioni frustrate, ricordi d’infanzia, amori inespressi, e speranze vane.
Di fronte a tanto materiale drammaturgico ci sembra davvero poco necessario che la messa in scena metta in luce aspetti reconditi od inutili esposizioni intellettualistiche, se non ben motivate. Ebbene, è proprio in questo che pecca principalmente la regia di Di Palma. È passato poco meno di un anno dall’edizione 2014 del Napoli Teatro Festival nel quale abbiamo assistito alle magistrali regie di Andrej Končalovskij di “Zio Vanja” e, per l’appunto, “Le Tre Sorelle” e, proprio in quell’occasione, su queste pagine abbiamo lodato la semplicità espressiva del regista russo, la straordinaria direzione degli attori, l’importanza che veniva data innanzitutto alla parola, al ritmo ed alla personalità dei personaggi. Ora, invece, ci sembra di vedere in primo piano, nelle intenzioni di Di Palma, l’esigenza di esprimersi con un tedioso simbolismo, a cominciare dalla scenografia che, per quanto ottimamente congegnata da Luigi Ferrigno, si spertica nel rappresentare sottotesti così come ha abusato un certo teatro concettuale tanto in voga un ventennio fa, oberando il materiale cecoviano con rimandi ad una non precisamente chiara deriva marina (in Russia), con il relitto di una barca arenata quale simbolo di una partenza mai realizzata (per Mosca). È davvero un peccato che un regista intelligente e talentuoso quale Di Palma cada nel vecchio tranello di dover dimostrare al pubblico e, soprattutto, ad una certa critica, di quanto ci si “crei il problema” di rappresentare un classico, cosa che, purtroppo, accade spesso a causa della sempre più dilagante abitudine di scegliere di rappresentare un’opera più per esigenze di cartellone che per effettive motivazioni e sincero interesse al testo stesso. Ed allora lo spettacolo prosegue con una serie di rimandi e di arricchimenti che risultano in realtà appesantimenti, uno fra tutti l’inserimento di un monologo, all’inizio della seconda parte (che corrisponde al terzo atto originale), di un brano estrapolato da “Guerra e Pace” sull’incendio di Mosca, affidato al personaggio del vecchio usciere del consorzio, Ferapònt, che qui è inspiegabilmente anche il cameriere di casa Prozorov (che Enzo Turrin disegna sulla falsariga del Firs interpretato nel “Giardino”), sostituendo così il personaggio della vecchia balia ottantenne Anfisa, ingiustamente tagliato laddove non accade stessa sorte ai due sottotenenti ( Massimiliano Sacchi ed Enzo Mirone) uniformati in due incolori ruoli di musici. Ritornando all’innesto di cui sopra, ci sembra pretestuoso trovare un collegamento tra l’incendio della cittadina di provincia in cui si svolge il dramma scritto da Cechov nel 1900 e quello che Tolstoj aveva narrato nel suo romanzo, e, se si vuole essere pignoli, ci sorprende che Ferrapònt, seppur vecchio, abbia memoria di un avvenimento accaduto quasi 90 anni prima.
Tra queste, che risultano, a nostro giudizio, trovate ridondanti, il ritmo, che ad inizio rappresentazione sembra essere ben sostenuto, si fa sempre più lento, ma quello che davvero dispiace è che tanta attenzione al superfluo distragga dalla cura nei confronti dei personaggi, in special modo quelli maschili, appiattiti tutti verso la diligente lettura, a dispetto di un cast potenzialmente interessante. Così il barone Tuzenbach, interpretato da Giacinto Palmarini, non appare assolutamente un uomo mediocre e banale, come Irina sottolinea, o meglio, non più di quanto non appaia il colonnello Veršinin (Andrea Renzi) al quale non si riesce di riconoscere il fascino, forse romantico o comunque malinconico, che induce Maša, qui dedita all’alcol (brava e rigorosa Gaia Aprea) in tentazione all’adulterio, mentre il tormentato Solënyj (Paolo Cresta) è solo un ragazzino superficialmente capriccioso ed isterico. Naturalmente, nonostante le intenzioni dichiarate dal regista nelle note, poco o nulla, come è tristemente prassi soprattutto in Italia, si coglie in queste interpretazioni dell’ironia che il povero Cechov avrebbe voluto si evidenziasse nelle sue commedie, ad eccezione di quanto operino la vivace Sabrina Scuccimarra (Olga), davvero brava, o il ben equilibrato Gabriele Saurio (Fëdor) e del forse eccessivamente caricaturale Alfonso Postiglione (Čebutykin). Sempre ottima la resa di Paolo Serra (Andrèj) mentre a Sara Missaglia non è dato di colorare il personaggio chiave di Natal’ja Ivànovna così come meriterebbe. In quanto alle minore delle sorelle Prozorov, il lavoro di Federica Sandrini non delude, certo, ma risulta privo di guizzi. Insomma, distratti, ma non del tutto, dalle belle seppur ingombranti musiche dell’ottimo compositore israeliano Ran Bagno, e dai sempre attinenti costumi della bravissima Zaira De Vincentis, tante sono le domande che ci si pone, rispetto alle scelte sopra menzionate, e a fine spettacolo a noi non resta che esclamare con Olga: “Poterlo sapere, poterlo sapere!”
Napoli, Teatro Mercadante – 25 febbraio 2015
Gianmarco Cesario
TRE SORELLE di Anton P. Cechov
regia Claudio Di Palma
con Paolo Serra, Sara Missaglia, Sabrina Scuccimarra, Gaia Aprea, Federica Sandrini, Gabriele Saurio, Andrea Renzi, Giacinto Palmarini, Paolo Cresta, Alfonso Postiglione, Massimiliano Sacchi, Enzo Mirone, Enzo Turrin
scene Luigi Ferrigno
costumi Zaira de Vincentiis
luci Gigi Saccomandi
musiche Ran Bagno
assistente alla regia Alessandra Felli