“Traviata”, dall’opera al balletto

La compagnia Artemis Danza / Monica Casadei presenta il lavoro dedicato a Giuseppe Verdi alla 27° edizione del Florence Dance Festival.

Spesso la volontà di dare nuova vita a un’opera che ha già infinite rivisitazioni è un azzardo. È un azzardo il nuovo linguaggio che gli si vuole cucire addosso, allontanandola troppo dalla sua più autentica “immagine”. In occasione del 27° Florence Dance Festival, sul palcoscenico del Museo Nazionale del Bargello, la compagnia Artemis Danza / Monica Casadei porta in scena “Traviata” , primo capitolo di un progetto dedicato a Giuseppe Verdi (“Corpo a corpo. Verdi” una trilogia nata nel 2011che comprende anche “Rigoletto” e “Trovatore” per omaggiare il grande compositore). Il dramma borghese verdiano diventa così una coreografia, un vero e proprio balletto costruito sulla stessa partitura musicale.

Traviata_©Beatrice PavasiniAl centro della vicenda sempre lei, Violetta, la cortigiana che si innamora del giovane Alfredo. Il loro amore è ostacolato dal padre Giorgio a causa del passato un po’ animato della donna, l’eroina perseguitata da una sorte nemica. In questa esperienza, la debole e socialmente emarginata Violetta si declina in tante figure femminili, in tante danzatrici; non esiste infatti un’unica protagonista in scena, ma il personaggio “entra” nel corpo delle diverse interpreti quasi a voler assorbirne l’indole, il carattere dominante utile per quel momento dell’opera. C’è una Violetta per quella natura un po’ salottiera, vivace, mondana, e più “spinta” dell’inizio, di plastiche moine e sorrisi a tempo di quel «libiam’ nei lieti calici» con cui si apre tutta la rappresentazione. Dai toni più appassionati e languidi è invece tutta l’interpretazione della parte centrale, quando la protagonista si trova costretta a rinunciare al proprio amore, per morire tragicamente alla fine. I tanti personaggi femminili della coreografia si muovono in abiti molto appariscenti che forse avrebbero dovuto richiamare l’idea del ceto borghese di ambientazione dell’opera. Vestono di bianco quando devono richiamare la purezza della protagonista e in rosso quando invece escono fuori tutte le disillusioni, i rammarichi, le sconfitte di una donna che non può amare né essere amata.

La coreografia è un insieme di movimenti che spesso si confondono e si perdono in queste sequenze cariche di gesti.  C’è, in ogni singolo atto, una forza, una violenza, un’intensità tale che i corpi tremano, spesso anche in maniera eccessiva. Si assiste in più occasioni a momenti in cui anche il passo più lento diventa come uno spasmo, come un gesto carico di sola rabbia, rancore. Questa sorta di “nevrosi” perpetua si ritrova anche nei corpi che si contorcono su se stessi, in quelle pose contro natura che raggiungono dopo lunghi tentativi per “divincolarsi” – sembra-  dalla propria stessa pelle. È un po’ come se ci fosse una tensione continua, un qualcosa che, però, senza crescite o diminuzioni d’intensità, si appiattisce.

La parte più suggestiva della coreografia è forse la fine, quando il palcoscenico si riempie di altri danzatori che si vanno ad aggiungere agli otto interpreti principali. È un caos di persone che sembrano rivolgersi a un fittizio interlocutore con vacui discorsi, rimproveri, grida; non esce un filo di voce da quelle bocche che però si dimenano, insieme alle braccia, alle mani in una generale schizofrenica follia d’insieme.  Sulla celebre aria di «amami Alfredo» che si ripete ossessivamente in loop, entra l’ennesima Violetta che a poco a poco si spoglia di quell’ingombrante, fastidioso abito bianco. Mentre lo fa, il suo corpo procede in una danza scomposta, fatta di linee spezzate, forzature fisiche che la rendono instabile, vicina al tracollo. Un lento e insicuro attraversamento del palco il suo, quasi come la progressiva presa di consapevolezza che quello è il percorso che la condurrà al proprio inevitabile destino di morte.  Violetta è sola in questo epilogo, sola nonostante quella massa informe di persone che se ne sta lì, distesa sul proscenio e a testa all’ingiù, indifferente e impassibile alla sua triste sorte.

La celebre opera di Verdi, con la coreografia, è un po’ traviata dalla continua ricerca di nuovi e originali modi con cui si vuole –ancora- raccontare la storia. Si avverte il bisogno di voler proporre, quasi in maniera forzata, qualcosa di non scontato, moderno, qualcosa di più adatto a un pubblico che non sia necessariamente quello d’opera. Il problema è che quando si innescano questi meccanismi, accade che ci si allontana troppo dall’opera e si crea qualcosa che vorrebbe solo assomigliargli, senza però riuscirci.

FIRENZE – Museo Nazionale del Bargello, 16 luglio 2016

Laura Sciortino

TRAVIATA: coreografia, regia, scene, luci e costumi: Monica Casadei; Assistente alla coreografia: Elena Bertuzzi; Musiche: Giuseppe Verdi; Elaborazione musicale: Luca Vianini; Drammaturgia musicale: Alessandro Taverna; Con compagnia Artemis Danza: Annalisa Celentano, Francesca Ceratti, Melissa Cosseta, Roberta De Rosa, Gloria Dorliguzzo, Emanuele Serrecchia, Filippo Stabile, Francesca Ugolini; Produzione: Compagnia Artemis Danza/Monica Casadei; Co-produzione: Fondazione Teatro Comunale di Ferrara; Con il contributo di: Ministero per i Beni e le Attività culturali, Regione Emilia Romagna- Assessorato alla Cultura, Provincia e Comune di Parma.

Share the Post:

Leggi anche