Sannazaro, un teatro in “festa”

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La “festa” al Sannazaro inizia già nel foyer, dove ci accolgono le luminarie e il caldo profumo dei taralli. La sala, dismesse le poltrone scarlatte, è invasa da tavolacci intorno ai quali siede il pubblico; dalla platea una scalinata plumbea conduce al palco, che (incredibile a dirsi per uno spazio così esiguo) si trasforma in sagrato, in chiesa con tanto di processione di fedeli o in osteria. E’ la magia del teatro, in cui ogni cosa ha un suo doppio dal quale può esser lontana miglia, anni, oppure lo spazio sconfinato ed esiguo di un gioco… o di un sogno.

E’ solo così che il Sannazaro, la bomboniera di via Chiaia, può mettere in scena uno spettacolo, indubbiamente più a suo agio in spazi più comodi, senza perdere la magia di un testo sacro, figlio di un sacro autore partenopeo come Viviani. E’ solo così che il Sannazaro può diventare “La Festa di Montevergine”.

Ma partiamo dall’inizio. L’incipit è scritto nella storia del teatro, in un glorioso capitolo intitolato Luisa Conte, in un paragrafo dedicato proprio a “La Festa di Montevergine”, datato circa venticinque anni fa, che racconta di come questa signora del nostro teatro volle caparbiamente mettere in piedi un’opera così imponente, per numero di personaggi e cambi di scena. Ed è per omaggiare la grande interprete a vent’anni dalla sua morte che il Sannazaro, giocando sicuramente d’azzardo, ha voluto riallestire questa vivianea storia di uomini e madonne, in cui l’autore fonde sacro e profano con arguzia drammaturgica, donando al pubblico risate e commozione.

A Lara Sansone, nipote ed erede della Conte al suo esordio nella regia, il merito di aver costruito uno spettacolo che trasforma l’intero teatro, con scene che si compongono e scompongono, mentre gli attori occupano anche la platea. La messinscena riesce a rimandarci atmosfere ed emozioni di un classico e mette insieme un nugolo di attori accomunati non solo dalle grandi doti recitative, ma anche dal legame, professionale ed affettivo, che alcuni di essi avevano con Luisa Conte. Accanto a Lara, spassosissima e controversa “maesta”, e a sua sorella Ingrid, bravissima e sanguigna “farenara”, non c’è attore o voce che non dia prova di professionalità e maestria: Lucio Pierri, esilarante “sanguettaro” vittima della consorte, Gino Curcione, versatile e raffinato, Chiara De Vita, dalla voce argentina, Ciro Capano, borioso e beffato “vrennaiuolo”, Mario Aterrano, sagace interprete dal timbro inconfondibile, Matteo Salsano, strepitoso attore-cantante che veste abilmente i panni di Don Rafele “attunaro”, l’inimitabile Salvatore Misticone, Patrizia Capuano, Rosario Giglio, Corrado Ardone e tanti altri, in tutto una trentina, affiancati come nelle compagnie di una volta da un gruppo di figli d’ arte.

Le indovinate ed ingegnose scene sono di Fabrizio Comparone per Retroscena, le coreografie di Alessandro Di Napoli, i bei costumi di Luisa Gorgi Marchese, le musiche originali di Viviani sono state abilmente elaborate da Paolo Rescigno.

Uno spettacolo “complicato e dispendioso”, dice la Sansone, difficile da riproporre in questi tempi di crisi. Eppure il Sannazaro ha vinto a pieno la sfida, come testimonia il teatro gremito ogni sera, tanto da dover prorogare le repliche della “festa” fino al primo di dicembre… per ora… poi chissà… Il nostro augurio è che lo spettacolo possa diventare, com’è nei desideri della produzione, un appuntamento fisso per la città.

Domenico Orsini

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