“C’era una volta… il manicomio”, ultima replica dello spettacolo della Compagnia Chille de la Balanza per la regia di Claudio Ascoli.
Trentadue ettari di terreno per un agglomerato che ospita venti padiglioni tutti schierati simmetricamente, femminili ad est, maschili ad ovest, un tempo adibiti alla “cura” dei malati, o almeno era questo l’intento che all’esterno si voleva far credere. San Salvi, meglio conosciuta come “La città dei matti”, non è stato solo un vecchio manicomio ma una vera e propria area verde dentro la città di Firenze, un luogo misterioso ed emblematico, per troppo tempo tenuto nascosto e chiuso al mondo cittadino. A risollevare le sorti di questa memoria storica ci pensa, nel 1998, la compagnia teatrale Chille de la Balanza, che promuove da subito il progetto chiamato prima “San Salvi la città negata”, poi “San Salvi la città ri-nata” e ora “San Salvi Città Aperta”, organizzando un importante festival di teatro, musica, danza e arti visive all’interno dell’Estate fiorentina.
Ne occupa un posto privilegiato un lavoro itinerante “C’era una volta… il manicomio”, nuova edizione della “Passeggiata nella notte di San Salvi” ideata e scritta dal regista leader della compagnia Claudio Ascoli. Venerdì 26 settembre sarà riproposta l’ultima replica di questa stagione, lo spettacolo-affabulazione-denuncia della durata di oltre due ore e trenta minuti, che in dodici anni e con circa 500 appuntamenti ha dilettato ed emozionato oltre venticinquemila spettatori. Ad essere messa in scena è la tragica storia del manicomio collegata a quella dei tempi odierni. Un racconto tenuto sottoforma di narrazione-gioco con soli 40 spettatori a serata, dove con parole, immagini, suoni e l’imperdibile e suggestiva camminata entro le mura esterne della città sansalvina, ripercorre le vicende legate al famoso ospedale psichiatrico fiorentino e alla malattia mentale.
Un’odissea storica sofferta e traumatica, dove i veri protagonisti sono loro, i matti, i malati non guaribili, coloro da tenere lontani e separare da una società troppo povera per prendersene cura, troppo ingrata per riuscire a ricordarsene. Un numero smisurato di degenti popolava questo posto, molti di più di quanto la struttura stessa potesse ospitare, circa 3000 secondo alcune ricerche. Chiunque ritenuto al di fuori della normalità, perché incapace di opporsi al “disordine delle passioni”, quindi anche solo povero per sorte, malato, anziano, emarginato, diffidente dal regime fascista, omosessuale, ci finiva dentro. Unico criterio per l’ammissione divenne l’indice individuale di pericolosità e scandalo, permettendo così l’avvenuto ricovero non tanto a chi soffriva di effettivi disturbi psichici, ma piuttosto a chi rappresentava una scomoda figura da gestire per famiglie e parenti impazienti. Chi vi faceva ingresso veniva privato fisicamente di tutti i suoi averi, conservati in un sacco per tutto il periodo della degenza e veniva rivestito con rozzi camicioni, lasciato vivere in cameroni protetti da spranghe e chiusi a chiave con ore d’aria solo occasionali in piccoli recinti, ma sempre controllati dall’alto delle passerelle percorse dagli psichiatri-sentinelle.
I più fortunati riuscivano a cavarsela con la cosiddetta “carriera iniziale”, un periodo di osservazione che decretava l’ingresso ufficiale o meno in manicomio, a coloro giudicati severamente pericolosi ed improduttivi, invece, riservavano un trattamento più duraturo, una vita intera dentro le segrete stanze dove ben presto ognuno perdeva la propria identità, i propri sogni, la propria dignità, con l’ingannevole pretesto di contenerli e di difenderli dagli altri e da loro stessi, costringendoli a leggi interne a cui non potevano ribellarsi e allo scorrere forzato dei giorni, dei mesi e degli anni, che portava inesorabilmente alla perdita di ogni diritto della “persona”.
Un calvario iniziato il 9 settembre 1890, quando l’architetto Giacomo Roster sotto il servizio dei Tamburini, da vita al complesso di San Salvi. Secondo un medico dell’epoca, il Dott. Algeri, si trattò di un evento storico-sociale di grande importanza, in quanto si stava procedendo alla realizzazione di un progetto di intervento modernissimo per fronteggiare le problematiche della “follia”, e per mettere a tacere il cuore e gli occhi si pensò bene di isolarlo nell’allora periferia del capoluogo toscano. Così, una volta eretta la cinta muraria, i “matti” varcano una soglia di non ritorno, vengono cronicizzati e sottoposti a trattamenti e terapie che tutto fanno tranne curare e alleviare la sofferenza mentale.
Solo durante gli anni ’60, grazie a un movimento di liberazione che sfocerà nella famosa legge Basaglia del ’78, si arriva a intravedere una realtà diversa: i 76 manicomi, allora attivi in Italia, aprono le porte, i cancelli, le sbarre ed eliminano progressivamente contenzioni e violenza, sostenendo la prevenzione e la riabilitazione dei malati prima di tutto. Una società che cambia finalmente, che si dimostra capace di ragionare sugli eventi, sulla qualità delle cure che impartisce, sul senso di un’istituzione volutamente cieca e del contesto psichiatrico che la copre. Così anche San Salvi comincia ad aprirsi verso il mondo esterno, per quanto non breve la chiusura definitiva che vede l’uscita dell’ultimo ospite solamente nel 1998, quando l’allora direttore, il Dr. Carmelo Pellicanò, chiuse definitivamente il ghetto fiorentino concedendo la meritata libertà ai suoi “folli abitanti”.
Sedici anni sono passati e molto lavoro è stato fatto. Aumenta giorno dopo giorno il numero di studenti universitari, seminaristi, dottorandi e giovani scrupolosi che si prodigano affinché questo posto non venga dimenticato, ma preservato e curato. Questo grazie anche all’ingresso a San Salvi della Compagnia teatrale Chille de la Balanza, che continua a dedicare buona parte del suo operato a questa straordinaria città nella città, finalmente aperta, promuovendone la crescita e lo sviluppo con innumerevoli iniziative culturali ed artistiche, evitando la distruzione di reperti ed archivi e tutelando le cronache di migliaia di uomini, donne e bambini che qui dentro hanno speso la loro vita.
C’ERA UNA VOLTA…IL MANICOMIO – Regia: Claudio Ascoli; Compagnia: Chille de la Balanza.
FOTO: Le foto in bianco e nero sono di Renato Bartolozzi, addetto ai servizi generali che lavorò al manicomio con tante mansioni, da ciabattino a portiere. Fotografo dilettante, fu autorizzato dalla direzione a fotografare ambienti e persone. Il suo prezioso archivio, con oltre 1.000 immagini, è stato acquistato dell’Associazione per una Fondazione per la memoria viva di San Salvi Carmelo Pellicanò.
Ultima replica: venerdì 26 settembre 2014 alle ore 21:00. Ingresso 8 euro con prenotazione obbligatoria.
Per info: 055 6236195 – chille_@libero.it
Mara Marchi