“Piccolo e squallido carillon metropolitano”
sguardi sugli intimi dolori familiari

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Al nuovo teatro Sancarluccio, il 9 e 10 dicembre, è andato in scena “Piccolo e squallido Carillon metropolitano”, un’opera di Davide Sacco, con Orazio Cerino, Giovanni Merano ed Eva Sabelli.

Un nucleo familiare di tre fratelli, problematico, si muove nella vita quotidiana in un contesto sociale e domestico assai difficile. Lo spaccato quotidiano cui si assiste è quello del ritorno a casa del fratello lontano che, suo malgrado, trova una situazione economica e familiare assai peggiorata rispetto a quella che aveva lasciato al tempo della partenza.

Un padre morto in tempi lontani, una madre venuta a mancare da poco che ha lasciato a sé stessi una figlia ritardata ed un figlio omosessuale soli ad affrontare una società bigotta e spietata nei confronti di quello che considerano “diverso”.

È breve l’intervallo di tempo in cui ci si rende conto che la scenografia assai semplice è un’azione voluta poiché gli abiti e gli attori stessi sono la scenografia.

La loro fisicità e presenza costante invade il palco riempiendolo con tempi giusti ed emozioni intense attraverso sorrisi amari e istanti quasi struggenti.

La linea divisoria tra bene e male che si cerca di tracciare durante l’opera non è di separazione, né fra le cose belle e brutte, né tantomeno fra il palco ed il pubblico, è bensì di osmosi ed unione; il Sancarluccio, nella sua atmosfera intima, amplifica ancora di più l’ambientazione ricercata durante la recitazione, fondendo pubblico ed attori in un insolito voyeurismo tipico dei nostri giorni in uno spaccato suburbano squallido e sofferente, dove l’utente, come se fosse protagonista in un reality moderno, può spiare l’intimità di una famiglia afflitta da problemi storicamente attuali e dalle mille risorse, talvolta perverse, che la porta a sbarcare il lunario economico e sociale.

Da un lato c’è la società che impone i costumi canonici dettati dal “perbenismo” e dal bigottismo, dall’altro c’è la realtà di una normalità mai accettata; questi temi sono affrontati in maniera completa da ambo i lati con un insolito senso di imparzialità che vomita addosso al pubblico le sofferenze e le angosce dei personaggi che, a loro modo, nonostante il legame di sangue che li unisce, sono lontani anni luce e contemporaneamente tanto vicini.

È un lavoro intenso ed intriso di sofferenza che risulta più leggero grazie a momenti in cui è possibile respirare attraverso qualche sorriso; non sarà affatto banale comprendere, alla fine, che la linea di demarcazione fra bene e male della società sono proprio gli spettatori, poiché costituiscono la società stessa.

Fabio Di Bitonto

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