NTFI 2015 – “Rituccia”: piccole donne di Eduardo crescono.  

Allo stesso tempo metafisico e realistico, il nuovo spettacolo di Fortunato Calvino è un vero e proprio omaggio ad Eduardo De Filippo e alle sue donne. Soprattutto a quelle donne che hanno animato la scena di De Filippo nella produzione del dopoguerra: donne vive e passionali, protagoniste attive della vita che girava loro intorno.

Rituccia, infatti, interpretata da una bravissima Antonella Cioli, è un personaggio direttamente restituitoci dalla memoria di Eduardo e da un testo paradigmatico della sua produzione come Napoli Milionaria. Rituccia, che nella piece di Eduardo avevamo lasciato in bilico tra vita e morte, torna a vivere, in età matura, nel nuovo spettacolo di Fortunato Calvino, ormai diventata una donna del terzo millennio che, nonostante l’emancipazione degli anni e dei costumi, porta con sé la dolorosa eredità della violenza e della guerra. Un’eredità, quella della guerra, in virtù della quale il personaggio filtra il mondo circostante e lo interpreta con una sensibilità tormentata e moderna, rifiutando intimamente l’atrocità e l’inumanità che sembrano dominare i rapporti di relazione e gli affetti, anche i più comuni, i più quotidiani.

Intorno a Rituccia, un repertorio di personaggi femminili variamente declinati, personaggi intensi e complessi interpretati da grandi voci del nostro teatro da Antonella Morea a Rosa Fontanella, da Laura Borrelli a Gioia Miale, donne che si sono più o meno adattate al clima (in)civile della contemporaneità, ognuna impegnata nella propria guerra privata e personale. Una guerra che a Napoli, purtroppo, passa anche per l’illegalità e l’arroganza.

Quanto è costata alle stesse donne,  l’emancipazione femminile del dopoguerra? E, prima schiacciate dal maschilismo domestico, anche le donne hanno piegato, definitivamente, la loro vocazione muliebre all’orrore della camorra e della delinquenza? Questi interrogativi sembrano emergere dall’ultimo testo di Fortunato Calvino e, per chi la guerra non l’ha vissuta, il suo affresco scenico non è solo un prodotto drammaturgico di verificabile qualità, ma è anche il punto di partenza per una riflessione sulla storia che ci è più vicina, la storia del ventre sociale di una città che mentre prova a definirsi come capitale d’Europa, continua a fare i conti, nel bene e nel male, con il proprio passato e con le proprie cattive abitudini.

Infine, particolarmente suggestive risultano le musiche originali scritte da Paolo Coletta e le scene create da Paolo Foti.

Claudio Finelli

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