“Nessuno dopo di te” al Teatrosophia di Roma
L’amore e il dolore a passo di danza

Ci si può innamorare perdutamente di un uomo mai cresciuto, pacificamente violento nella sua irrisolutezza, cieco di tutto il bello che un’anima assetata di cura e dedizione gli tributa nonostante prestazioni sessuali da cento euro all’ora?
Certo che sì!
E si può imbastire una dinamica fatta di speranze, concessioni, titubanze, spensieratezza, dolori, spinte in avanti e brusche frenate tra due giovani maschi che frantumano le banalità dell’amore omosessuale?
Va da sé…
“Nessuno dopo di te” (scritto e diretto da Guido Lomoro) al Teatrosophia di Roma al è una storia semplice, una storia come tante, un rapporto che in parte o in toto chiunque ritrova nell’alveo della propria esperienza. A scavare in quegli anfratti che ognuno possiede e che lo avvicina o a chi ha lasciato per salvarsi o a chi n’è rimasto avviluppato, ci pensano Gabriele Giusti e Tommaso Sartori.
Il primo (Diego, <<un tipo che di solito non piace>>) è il questuante d’amore, il secondo (Mirko) un escort, fragilissimo oltre il velo della sua sicumera professionale, che incontra tutta la pazienza e la passione sincera di chi ha intravisto in quel grumo di trasandata prostituzione un talento affettivo davanti al quale la goffa marchetta sarà chiamata a confrontarsi per le sorti della sua stessa esistenza ben prima di quelle della relazione.
Il debole si rivela il più centrato, il forte sarà nudo con sé stesso e le sue non recuperabili immaturità.
C’è una magnifica alchimia in uno spettacolo che oltre ad una netta pulizia attoriale e ad una sincera passionalità tra i protagonisti, azzarda momenti di quadri danzanti sempre pertinenti e ben dosati.
Su una scena essenziale che trasforma anche le pareti in elementi narrativi (e grazie ad un uso attento e calibrato della luce e dei suoi tagli), si assiste al dipanarsi di questi piccoli pezzi di vita individuali che diventano universali con sobrietà ed eleganza, misura e onestà, avvincendo in un crescendo lento ma costante, senza sbavature e sempre in armonia.
Resta, alla fine, lo stupore per il notevole livello dei due attori ventitreenni che, nonostante una cronica mediocrità del teatro di ricerca italiano, meritano non solo plausi ma anche e soprattutto l’incentivo a portare avanti un talento con il quale sì si nasce (per citare Lomoro che ha saputo dirigerli con intelligenza e maestria) ma che è imperativo sostenere e sviluppare. Obbligatorio crederci e non cedere mai!
Avanti così…
Francesco Giannotti
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