Nei luoghi della solitudine e della miseria irrompe la toccante e necessaria Misericordia della Dante

Il titolo dell’ultimo progetto drammaturgico di Emma Dante – Misericordia appunto – più che fissare l’argomento della messinscena sembra essere una richiesta, meglio ancora un’invocazione o un’accorata raccomandazione rivolta al pubblico: Misericordia, abbiate Misericordia verso l’altrui infelicità, anche quando vi sembra attraversata da troppa rabbia e troppo rancore, che sia una misericordia laica o religiosa, non importa, ma che sia Misericordia perché – come ammonisce una sentenza di Publilio Sirio – misereri scire sine periclo est vivere (saper essere misericordiosi significa vivere senza paura).

Emma Dante, con Misericordia, recupera la sua cifra stilistica identitaria, quella che l’ha resa celebre per lavori d’ineguagliabile intensità drammatica come mPalermu, Vita Mia, o Mischelle di Sant’Oliva, lavori caratterizzati da una gestualità attoriale ossessiva e compulsiva, da un ritmo incalzante e sfrenato e da una dimensione allucinata e stravolta in grado di trasfigurare gli stessi interpreti in creature animalesche, libere e imprevedibili, come fossero grumi di carne e sangue, palpitanti di istinti e vibranti d’emozioni.

Il dramma che fa da cardine alla messinscena attinge l’esistenza di quattro creature fragilissime e marginali che conducono una vita difficile e precaria, creature che conoscono la violenza e la privazione ma che – a loro modo – conoscono anche l’amore, quello vero, un amore logorato e consumato dalla miseria, dagli stenti, dal senso d’impotenza e dalla solitudine.

Anna, Nuzza e Bettina, interpretate dalle bravissime Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco e Leonarda Saffi, sono tre donne che di giorno confezionano sciallette e di notte si vendono ai passanti ma sono soprattutto tre madri, non madri di sangue – ché si sa il sangue non rende necessariamente genitori – ma madri nel senso più autentico del termine perché, alla morte di Lucia, vittima della violenza maschile dell’uomo di cui portava in grembo il figlio, si sono fatte carico di tirar su il piccolo Arturo, con l’amore e l’abnegazione di una madre nonostante Arturo – interpretato da un eccezionale Simone Zambelli – sia un bambino ipercinetico e problematico, difficile da gestire e impossibile da contenere.

In tempi come quelli che stiamo vivendo, in cui le posizioni espresse dalla politica, almeno dagli esponenti dell’attuale maggioranza, sembrerebbero orientate a non riconoscere altra maternità che quella di sangue e altra famiglia che quella tradizionale, tempi in cui, tra l’altro, i casi di violenza contro le donne si intrecciano con le attuali contingenze storiche, contingenze in cui le donne, e le famiglie più in generale, vivono situazioni di criticità economica e materiale sempre più gravi e dolorose, Misericordia di Emma Dante ci comunica in maniera vivida e bruciante la condivisibile urgenza di un approccio più comprensivo e compassionevole verso il prossimo, più empatico e autentico, l’approccio di chi riconosce l’altrui umanità in nulla differente dalla propria secondo la lezione terenziana: Homo sum, humani nihil a me alienum puto (Sono un essere umano, niente di ciò ch’è umano ritengo estraneo a me).

Teatro Mercadante di Napoli, replica del 19.04.2023

ph@MasiarPasquali

 

 

 

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