“Morsi a vuoto” o il tragicomico disincanto della vita

Offre nuovi spunti di riflessione sulle diverse forme di comicità la performance andata in scena nell’ambito della diciottesima edizione del Festival Castel dei Mondi, per la regia di Filippo Renda.

morsi2(1)Delle finte scalinate di cartone sormontate da minacciosi gargoyle, un telo trasparente dietro il quale sono sistemate due sedie in legno grezzo dipinte. È l’ambientazione di Morsi a vuoto, spettacolo vincitore del Premio Scenari Pagani 2014, assegnato ai Maniaci D’Amore, che ne firmano la drammaturgia.

Lei è Simona: accento siculo, grande sorriso. Racconta la sua vita allo psicologo di fiducia. Ha finalmente incontrato un uomo, Manfredi, giovane rimasto ormai solo e ricco. Molto ricco. Proprietario di un’enorme villa al cui interno è nascosta una cassaforte piena zeppa di smeraldi. O almeno è quello che lui dice in giro. Simona è una ragazza come altre, nata in una generazione di disincantati, disillusi che vedono la vita con gli occhi ironici e amari di chi non ha niente da ridere, ma ride per non piangere. Sempre e comunque. Anche nei momenti peggiori. Regola basilare per chi vive nella volgarità e nella costante insoddisfazione. Eppure esiste un momento in cui si smette di vivere allegri seppur disadattati in un mondo surreale, confezionato apposta per sopperire al disagio nei rapporti umani. Questo momento, per Simona, arriva grazie all’incontro-scontro con l’uomo che cambierà la sua percezione della vita, l’Altro, in tutto diverso da lei: un ladro, entrato in casa di Manfredi per rubare gli smeraldi. Solo così, la protagonista conoscerà un’emozione mai provata prima: la paura di morire.

Da quel momento in poi, la scena cambia: l’atmosfera si fa cupa, le poltrone si trasformano in oggetti di tortura, ghigliottina compresa. Il dramma di una vita di stenti, disagi sociali, infelicità mal celate, viene travolto dalla comicità più disperata e grottesca, diventando paradossale ed estremo: il ladro dallo spiccato accento pugliese, il divario culturale tra i due protagonisti, le difficoltà di comunicazione.

Il telo trasparente in mezzo al palcoscenico è il mezzo dietro il quale, come a voler imporre un filtro, i due attori dialogano, ora litigando furiosamente, ora raccontandosi come vecchi confidenti. Lo stesso telo attraverso il quale passeranno in seguito, dopo aver perso completamente i loro filtri emotivi, rivelando i loro disagi più profondi.

Quello che ci propongono i Maniaci D’Amore è uno sguardo surreale e tragicomico sulla vita, con ironia ed ilarità deliranti. I costumi, la scenografia e gli oggetti in scena (una cassaforte di cartone dalla quale si estrae una pistola anch’essa di cartone, un tavolino antico macchiato di sangue) immergono lo spettatore in un racconto quasi favolistico dal tempo indeterminato, mentre l’uso improvviso della cadenza regionale, misto a dialoghi frizzanti e coinvolgenti, lo riportano alla concretezza dei giorni nostri.

Un lavoro sulle diverse forme di comicità, a volte anche disperata, che tuttavia non adombra una profonda e cruda riflessione sulla natura umana.

Alessandra Lacavalla

PRODUZIONE Maniaci D’Amore / Festival delle Colline Torinesi

COPRODUZIONE con Festival Castel dei Mondi di Andria col sostegno di Interno5 e Ludwig

DI Luciana Maniaci e Francesco d’Amore

REGIA Filippo Renda

CON Luciana Maniaci e Francesco d’Amore

SCENE E COSTUMI Eleonora Rossi

MANAGEMENT Nidodiragno

 

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