Maria Paiato in “Medea” per la regia Pierpaolo Sepe

medea-teatro-nuovoVenerdì 22 novembre 2013, Teatro Nuovo di Napoli

In scena la tragedia dell’ira, l’atroce vendetta della folle eroina e le “ragioni

irragionevoli” di una donna che non ha saputo mettere a tacere amore e furore

 

Ama i personaggi estremi Maria Paiato, che, dopo Anna Cappelli di Annibale Ruccello, ora è protagonista, ancora guidata dalla potenza rigorosa e visionaria di Pierpaolo Sepe, della Medea di Seneca, in scena al Teatro Nuovo di Napoli da venerdì 22 novembre 2013 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 1 dicembre), presentata da Fondazione Salerno Contemporanea.

Un’altra donna estrema che, abbandonata dal suo Giasone e straniera in terra straniera, ammazza la rivale e poi i suoi figli. A renderla ancor più estrema è la scrittura di Seneca, che s’ispira alla tragedia di Euripide, ma accentua l’ira sfrenata e il desiderio di vendetta della protagonista come unici strumenti possibili, per placare un dolore ingiusto e incolmabile, di cui è vittima e artefice allo stesso tempo.

La disperazione “umana” dell’eroina euripidea (donna, straniera, non greca, senza patria, diritti e famiglia) di fronte a un Giasone tronfio, opportunista e ingrato, cede il passo, in Seneca, a una creatura demoniaca, dominata esclusivamente dalle passioni, con il coro, non a caso, a parteggiare per lei in Euripide e per lui in Seneca.

Con lei sino al finale, il Giasone di Max Malatesta, il Creonte di Orlando Cinque, il coro di Diego Sepe e la nutrice di Giulia Galiani.

Una storia che, come ogni mito, è indifferente al tempo e ai tempi, perché parla di vendetta, di passione, di morte, e perché la solitudine, il senso di non appartenenza e il disorientamento fanno di Medea un personaggio femminile complesso e di straordinaria modernità.

Caratteristiche che quest’allestimento esalta attraverso la traduzione e l’adattamento di Francesca Manieri, i costumi di Anna Paola Brancia D’Apricena, le luci di Pasquale Mari, le scene di Francesco Ghisu, che ha ricreato sul palco una fabbrica abbandonata, grigio abisso di decadenza e solitudine.

«È una ricerca cieca e folle – così Pierpaolo Sepe – che trascina Medea e Giasone oltre i limiti della quiete che preserva l’uomo dai suoi stessi baratri. Una ricerca senza meta e senza esito, che una volta innescata esige di “infrangere con la tua furia le sacrosante leggi dell’universo”. Un dolore ingiusto e incolmabile di cui si è al contempo vittime e artefici, un dolore che esplode nel cuore dell’ira. Questa furia dolorante è Medea».

Medea infrange i sacrosanti legami della maternità, e, nell’impeto di un desiderio oltre natura, si spalanca il mondo contemporaneo del disumano. Solitudine, senso di non appartenenza, disorientamento culturale, che esplodono in un furore cieco e solitario, ne fanno il cuore rimosso dell’Occidente, che pulsa e giace sotto le fondamenta scricchiolanti di un intero mondo.

 

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